Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro doveva rappresentare gli interessi delle parti sociali nel circuito delle Istituzioni, ma la sua missione è stata disattesa perché la mediazione ha seguìto la corsia preferenziale della dialettica tra Governo, partiti e sindacati. Le sue iniziative legislative non sono state praticamente prese in considerazione dal Parlamento. I quattordici disegni di legge presentati da Villa Lubin, prestigiosa sede romana dentro Villa Borghese, non sono mai stati approvati. A pieno regime, nell’organigramma del CNEL, istituito dall’articolo 99 della Costituzione, ci sono il Presidente, i due Vicepresidenti, 64 consiglieri e 57 dipendenti. I consiglieri sono nominati dal Presidente della Repubblica e designati dalle parti sociali, e restano in carica cinque anni. In caso di cancellazione del CNEL, i dipendenti saranno ricollocati alla Corte dei conti. Del Consiglio fanno parte i rappresentanti del mondo dell’impresa, dei sindacati, del lavoro autonomo e delle associazioni del terzo settore. Attualmente di 64 consiglieri sono rimasti al loro posto solo 24. Dal 16 luglio del 2016 il Presidente è Delio Napoleone. Antonio Marzano, che si è dimesso da Presidente nel 2015, sino all’anno prima percepiva un’indennità di circa 187.000 euro. I consiglieri fino al 2014 hanno potuto contare su un compenso di circa 25 mila euro l’anno lordi. Poi, nel 2015, la legge di stabilità ha disposto l’abolizione di tutte le indennità. E ora la rottamazione del CNEL rientra tra gli obiettivi per una spending review istituzionale. Nel quadriennio 2011-2014 è costato 12 milioni 700 mila euro all’anno. Nel triennio 2008-2010, 18-19 milioni di euro all’anno. Poco rispetto al miliardo circa che il CNEL ha inghiottito da quando è stato istituito nel 1958. Solo con il referendum sapremo se gli orfani di Villa Lubin dovranno chiudere gli scatoloni per il trasloco definitivo.























