Non è necessario che un regista moderno intervenga sull'opera perfetta per spostare le linee di forza che la tradizione ha reso inalterabili. Ma si può costruire una creazione nuova che affondi le radici nel passato e prenda una strada autonoma verso l'affascinante giovinezza della nostra epoca. È nato così "The Kabuki", balletto creato da Maurice Béjart per il Tokyo Ballet, ora in scena al Teatro alla Scala di Milano. Un lavoro che rende omaggio all'antica forma di teatro popolare nipponica, a quella fusione perfetta tra canto, danza e mimo che ancora oggi racchiude l'essenza della cultura del Sol Levante. Béjart ha colto lo spirito del Giappone, questa forza interiore delle persone che ci ha insegnato come essere qui. Così, partendo da una Tokyo moderna, con tanto di schermi, giubbotti e musica heavy metal, la memoria emerge come la lama di una spada. Sul palco, tra kimono, lanterne e quel trucco capace di trasformare i volti in maschere, riprende vita la storia dei 47 samurai rimasti senza padrone. Proprio con "The Kabuki" il Tokyo Ballet fece la sua prima apparizione alla Scala nel 1986. In questa tournee la compagnia, creata 55 anni fa per dare voce o meglio corpo alla danza occidentale, ha portato in scena anche titoli del repertorio classico e contemporaneo, come "Serenade" di George Balanchine e "Dreamtime" di Jiri Kylian, oltre alla versione de "La sagra della primavera" firmata dallo stesso Béjart, che scelse proprio la compagnia nipponica come depositaria di alcuni suoi capolavori.