So che il mio primo ricordo, da bambino, è di me che gioco con un pallone e un paio di scarpe da calcio che mi sono state regalate dei miei genitori. Ho cominciato all'oratorio. La mia famiglia è una famiglia diciamo borghese, né troppo povera né troppo ricca, che non mi ha mai fatto mancare niente ma ha pensato soprattutto a darmi un certo tipo di educazione. I miei genitori volevano che studiassi, soprattutto, e poi una volta superato il test scolastico potevo fare quello che voglio. Quindi ho sempre pensato e voluto giocare a calcio. Comunque, come tipo di mentalità, mi piaceva far fatica in campo, mi piaceva guadagnarmi veramente tutto quello che volevo ottenere e quindi, in un certo senso, molti si stupivano che un ragazzo che veniva da una famiglia borghese e che molti pensavano essere miliardaria, ma che non lo era, avesse questo tipo di cattiveria tra virgolette e di fame e di voglia di sacrificarsi. Però per me è sempre stata una cosa naturale. Non so, credo che faccia parte del mio DNA, e forse la disciplina e lo spirito di sacrificio mi sono stati insegnati quando sono entrato a far parte del settore giovanile della Cremonese, gli allenatori che ho avuto mi hanno dato un certo tipo di impronta. Però è sempre stata una cosa che mi è venuta naturale.