Classe? Di più, arte. Nella testa, nel polso e la pallina che segue la sua traiettoria quella dei sogni per tutti gli altri, quella naturale per Roger Federer. Tutto così preciso ma senza il rigore del punto e basta, tutto apparentemente semplice invece nascosto in una brutale complessità, tutto bellissimo perché la musica dello stile ha tempi perfetti e sogni ancora più perfetti, mica sbagliava David Foster Wallace quando scrisse che la particolarità di Federer è che è Mozart e i Metallica allo stesso tempo. Il piano, le chitarre, la racchetta, sinfonie di colpi, assoli, smorzate, backspin, topspin, per dire grazie agli applausi per esserci sempre e non mancare all'appuntamento. Pancho Segura sosteneva che il tennis è una grande prova di democrazia. "Io e te amico nell'arena solo io e te baby". Vero. Ma Federer è stato "io" un'infinità di volte per il dispiacere di chi sudava dall'altra parte della rete, per l'ammirato piacere di tutti noi con lui così vicini all'incanto. Nel suo affascinante libro "Open" Andre Agassi ha scritto parole bellissime: "La borsa da tennis assomiglia molto al tuo cuore, devi sapere in ogni momento che cosa c'è dentro." Roger dentro quella borsa ci guardava da tempo e ha capito che c'era più vita che indumenti e racchette. "La palla da tennis non sa quanti anni ho" sosteneva Martina Navratilova, giusto, ma Roger non voleva più mentirle e le ha dato l'ultima carezza sottorete. Punto, game, match. Per sempre Federer.