Pace, pace pace. L'urlo di Andrew Parsons, Presidente del Comitato Paralimpico Internazionale, rimbomba dell'ormai famoso Nido d'uccello, lo stadio di Pechino che per la seconda volta ospita i giochi. Giochi dove è arrivata la guerra come lo stesso Parsons aveva mestamente ammesso ieri sera dopo aver dovuto annunciare, ribaltando una precedente decisione che ne avrebbe consentito la partecipazione sotto la bandiera olimpica, l'esclusione degli atleti russi e bielorussi. Un'ottantina di atleti vittime, come si legge nel comunicato ufficiale, delle colpe dei loro governi responsabili di aver violato la tregua Olimpica. La Russia in realtà lo aveva fatto anche nel 2008 entrando con i suoi carri armati in Georgia ma almeno senza sparare. Una decisione sofferta, imposta della maggior parte dei Comitati Olimpici Nazionali e che Andrew Parsons, che ha completamente modificato il suo discorso, non ha fatto mistero di non aver gradito e che crea un grave precedente. Sfilano invece nel più assoluto silenzio i 28 membri della fortissima delegazione Ucraina, 22 medaglie di cui sette d'oro all'ultima edizione, arrivati dopo un rocambolesco viaggio attraverso Polonia e Austria prima di potersi imbarcare su un volo dalla Malpensa. Siamo felici di essere qui - dichiara ai giornalisti Il capo delegazione e Valeriy Sushkevych, visibilmente commosso - ma non chiedeteci dove torneremo perché non lo sappiamo. Il nostro Paese potrebbe non esserci più. La cerimonia, come tutte le altre che l'hanno preceduta, è bellissima, sobria e rigorosamente ecosostenibile, ma siamo in guerra. Il mondo nel giro di un mese è cambiato. Sembra che anche XI Jin Ping, Presidente cinese, se ne renda conto quando dal palco ufficiale ancora più deserto del 6 febbraio dichiara, senza tradire alcuna emozione, aperti i giochi. A febbraio aveva accanto Putin ed entrambi sorridevano.