Oltre 400 morti, 40.000 profughi in fuga verso il Bangladesh, che ha chiesto l’intervento urgente dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. In Birmania è di nuovo emergenza umanitaria per il Rohingya, la minoranza musulmana che vive da sempre nello Stato centrale del Rakhine, ma che il governo considera di nazionalità bengalese, rifiutando loro il diritto di cittadinanza e costringendoli a vivere in condizioni disumane. È una situazione che si trascina da molti anni e che tutti si aspettavano potesse in qualche modo migliorare ora che il Paese è guidato, di fatto, dal Premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, ma la stessa ha più volte ribadito che il Paese ha altre emergenze da affrontare e che la vicenda dei Rohingya, termine che autorità e media birmani non usano preferendo quella di bengalesi di religione islamica, è una questione di puro ordine pubblico. Fatto sta che negli ultimi giorni, dopo alcune azioni di guerriglia portate avanti dall’Ars, l’esercito di liberazione recentemente formatosi nella regione, l’esercito birmano sta portando avanti sanguinose azioni militari, bruciando i villaggi, costringendo gli abitanti a fuggire e, secondo alcune fonti, addirittura sparando contro la popolazione in fuga, provocando oltre 400 morti e creando una situazione drammatica al confine del Bangladesh. L’intera regione è stata dichiarata off limits alla stampa, compresa quella locale, esattamente come è accaduto per anni durante il lungo regime militare. Secondo la France Press, uno dei pochi media internazionali che continua ad essere presente sul posto, numerosi giornalisti locali sarebbero stati arrestati.