"Non è una riapertura delle indagini, ma è la prima volta che il Vaticano apre ufficialmente un'inchiesta sul rapimento di Emanuela, quindi ovviamente io la vedo come una notizia positiva". Così, Pietro Orlandi commenta l'apertura di un'indagine da parte del promotore di giustizia vaticana, Alessandro Diddi, che ha affidato nuovi accertamenti alla Gendarmeria, incaricata anche di battere piste già seguite in passato. L'intenzione è ricominciare da capo e riesaminare fascicoli, documenti, segnalazioni, testimonianze e anche Pietro potrebbe essere ascoltato. "Nell'ultimo anno noi eravamo stati anche molto insistenti, perché chiedevamo con l'avvocato di essere convocati proprio dal promotore di giustizia Diddi, che ha annunciato oggi l'apertura. Chiedevamo di essere convocati per poter verbalizzare, perché avevamo detto che eravamo in possesso di nuovi elementi". Tanti i dubbi e le ombre su una vicenda che ha scosso la Santa Sede e le sue istituzioni in un percorso giudiziario e investigativo, che ha sfiorato ipotesi di ogni tipo e coinvolto servizi segreti, la banda della Magliana e Alì Agca, che sparò a Papa Wojtyla. Per Pietro Orlandi che in questi anni non ha mai smesso di chiedere risposte, un piccolo ma fondamentale passo in avanti. "Io spero che ci sia stato un rinnovamento nella coscienza di qualcuno, perché io sono sempre stato convinto e sono convinto che in Vaticano ci sono persone che sanno esattamente quello che è successo, e se c'è veramente una volontà a fare chiarezza, io penso che questa inchiesta potrebbe durare pochissimo". Di Emanuela si perde ogni traccia il 22 giugno 1983, in Piazza Sant'Apollinare, vicino alla Basilica dentro la quale, anni dopo, si scoprì la sepoltura di Enrico De Pedis, Renatino, uno dei capi della Magliana. Secondo testimoni, esecutore materiale del sequestro per conto di alti prelati. Tra piste false, inchieste aperte e chiuse, ora, dunque, si riaccende l'attenzione e la speranza su uno dei più oscuri misteri italiani, lungo, ormai, quasi 40 anni.