Era solo lavoro: così gli indagati Giulio e Francesca Maria Occhionero si sono difesi, negando ogni ipotesi di spionaggio. Gli indirizzi mail sono pubblici e non c’è nessuna prova che abbiamo sottratto dati a persone e istituzioni, hanno sottolineato i due nell’interrogatorio di garanzia a Regina Coeli, di fronte al giudice per le indagini preliminari Maria Pia Tomaselli ed al pm Eugenio Albamonte, titolare dell’indagine condotta con la Polizia postale. Al termine, gli avvocati Stefano Parretta e Roberto Bottacchiari hanno spiegato: “Nega di aver compiuto attività illecite, sono tutti dati pubblici che lui aveva sul computer. Adesso, le ripeto, anche in relazione per esempio a tutti gli scatoloni di documentazioni acquisite, è la contabilità della società. L’indagine è da fare”. “Ha risposto dando disponibilità a collaborare per quello che può fare, però la collaborazione è abbastanza difficile immaginarla, nel senso che, come stavo accennando, l’ipotesi che viene formulata nei suoi riguardi, cioè di Francesco Occhionero, è che sia stata un’attività, al più, di conoscenza di ciò che faceva il fratello, se lo faceva, quindi parliamo di un’ipotesi di conoscenza di ipotesi di attività”. Ora tocca agli inquirenti la prossima mossa. Tramite rogatoria internazionale verrà chiesto l’accesso al contenuto dei server custoditi all’estero, per capire con esattezza quanti e soprattutto quali dati sono stati rubati dai fratelli Occhionero. Intanto la Polizia postale ha accertato che nei confronti di Matteo Renzi, Mario Draghi e Mario Monti si è trattato solo di un tentativo di intrusione. Ed è proprio questo che bisognerà accertare: se si tratti di uno dei più gravi casi di spionaggio ai danni di gangli chiave del Paese, o solo di un goffo tentativo finito male.