Per molti è una vittoria dello Stato, per altri una cattura 30 anni dopo è una sconfitta. Di certo, l'arresto di Matteo Messina Denaro, fornisce nuovo impulso alle indagini della procura di Palermo lungo il tortuoso accidentato percorso verso la ricerca di una verità sepolta sotto decenni di bugie, depistaggi, false testimonianze, processi annullati e da rifare. "Il lavoro della procura di Palermo ha determinato un risultato importante, a lungo atteso". Memoria storica di scambi, accordi, trattative, probabile custodia dell'archivio segreto di Riina e forse anche, come sostiene un pentito, di una copia dell'agenda rossa sparita dalla valigetta di Borsellino in via D'Amelio e contenente i preziosi appunti sulla strage di Capaci. Se decidesse di parlare, potrebbe svelare segreti e misteri del più terrificante periodo della mafia e delle relazioni con pezzi deviati dallo Stato. "Certamente è a conoscenza di una serie di dinamiche con specifico riferimento agli eventi stragisti del 92 del 93 dei quali è stato assoluto protagonista". Sono tre i livelli d'indagine, dice De Lucia, per arrivare a scoprire la rete di complici che ha permesso a Messina Denaro la latitanza per 30 anni, per risalire alla provenienza di quel flusso di denaro con cui ha pagato la protezione di cui ha goduto, si deve però partire, dice De Lucia, dal livello uno. "Identificare la rete che lo ha protetto consentendogli di curarsi con le false identità e in questo senso è inevitabile procedere indagando chi ha creato la prima documentazione sanitaria, cioè il medico, poi gli accertamenti sono in corso, vedremo il livello di responsabilità". Il vero Andrea Bonafede, che gli ha prestato nome e documenti con cui entrava e usciva dalla clinica La Maddalena di Palermo, è il primo degli indagati insieme con il medico curante, Alfonso Tumbarello, entrambi di Campobello di Mazara, così come Giovanni Luppino, l'autista del Boss arrestato lunedì mattina.