Ci sono ancora, nell'antropologia di Repubblica, il rifiuto della stanchezza e la religione dell'energia, la comune passione per l'etica e il disprezzo per il bacchettonismo, la ricerca di un codice linguistico alto ma popolare, l'ossessione per il prodotto che non deve mai essere mediocre. La voce suadente di Roberto Herlitzka, rievoca il DNA di Repubblica che l'inventore di giornali ha inoculato nella tribù redazionale che porta ancora la sua impronta. L'attore lo fa parlando in prima persona, con quell'io narrante di Eugenio Scalfari che ripercorre la biografia romanzata della sua vita. Una licenza letteraria che i due autori, Antonio Gnoli e Francesco Merlo hanno scelto per raccontare in Grand Hotel Scalfari le confessioni libertine di un secolo di carta, la vita del fondatore dell'Espresso e di Repubblica tra il secolo breve novecentesco e il nuovo millennio. Un espediente che ha preso in contropiede il grande vecchio del giornalismo, che però ha apprezzato il risultato letterario, confezionato dai colleghi. Mi viene da dire un capolavoro, perché è scritto apparentemente da me, ma io non ho scritto una riga di quel libro, quindi è un libro molto speciale, molto speciale, è una specie di Madame Bovary. Per Gnoli e Merlo, Scalfari era lo spartito da interpretare e l' hanno suonato a modo loro. Nei capitoli del libro trova posto il giovanissimo futuro giornalista dalle origini familiari durante il fascismo e in cui gli autori del libro si sono divertiti, parole loro, a cercare il radical chic nello Scalfari Balilla e il radical chic nella sua originale militanza a sinistra.