Giulio Occhionero è lucido e deciso nelle due ore di interrogatorio in carcere. Alle domande del PM Albamonte risponde con precisione: “Non siamo spioni – dice – le informazioni mi servivano per lavoro, vendo software di analisi dei prodotti finanziari e indici di borsa”. Sugli oltre 18.000 nickname raccolti, per gli inquirenti abusivamente infettano con il virus Eye Pyramid almeno 1.100 computer, contrattacca: “Chi mi dice che non siate stati voi ad hackerare me per incastrarmi” e poi non dà le password dei pc opponendo ragioni di privacy, mentre la sorella Francesca Maria, l’altra indagata, nega addirittura di saperlo usare il computer. Un muro contro muro che a nulla ha portato, di certo non a chiarire la posizione dei due fratelli, che per almeno sei anni avrebbero spiato le più alte cariche dello Stato, politici, Istituzioni, studi professionali e persino il Vaticano. Da chiarire è anche il loro profilo. Nessuno sembra conoscerli, non solo in Italia, ma anche negli ambienti della finanza di Londra dove avevano la residenza e la sede legale della loro società, così come nessuno sa ancora spiegarsi come vivessero da nullatenenti e disoccupati da tempo. La Procura indaga per capire se rubassero informazioni riservate per rivenderle a qualcuno. Finora non risultano contatti con terzi in questo senso, ma anche un dossieraggio fine a se stesso senza cioè committenze precise, ci spiega un investigatore, sarebbe plausibile, come la storia italiana dimostra, soprattutto nel contesto in cui Occhionero si muoveva, cioè quello della massoneria. Possedere dati sensibili, controllare la vita degli altri è infatti fonte di grandissimo potere. Al momento unico ulteriore indagato per favoreggiamento è un poliziotto che avrebbe investigato sul PM Albamonte per conto di Occhionero e cercato notizie sull’inchiesta. Si procederà ora con l’analisi del virus con cui le utenze venivano infettate e dei server americani, non appena ci sarà il sì alla rogatoria internazionale in tempi ancora non noti, mentre arrivano rassicurazioni sugli account privati di Renzi, Monti e Draghi. Gli spioni avrebbero soltanto provato a violarli, senza, però, riuscirci.