Il durissimo botta e risposta con Atlantia, che Di Maio ha definito un'azienda decotta, aggiungendo che se entrasse nel salvataggio di Alitalia potrebbe danneggiarla nel momento in cui il Governo le revocherà le concessioni autostradali e ottenendo in cambio la promessa di azioni legali, è solo l'ultimo episodio di un rapporto difficile tra il Vicepremier e le industrie che operano in Italia. Anzi, il penultimo, visto che Di Maio poi rincara la dose dichiarando l'intenzione di arrivare al 14 agosto, anniversario del crollo del ponte Morandi, con la revoca delle concessioni autostradali, già avviata. Quasi in contemporanea a quello con Atlantia si consuma anche lo scontro con ArcelorMittal, che rischia di sottrarre all'Italia la produzione di acciaio. La società che ha rilevato dopo un tormentato accordo l'ex ILVA, ha infatti minacciato di lasciare il nostro Paese se il Governo toglierà l'immunità legale ai suoi manager. Il rapporto non certo idilliaco tra Di Maio e il mondo imprenditoriale si è manifestato sin dai primi passi del Governo gialloverde, appena insediato promette maggiori tutele per i raiders facendo sedere attorno a un tavolo e le aziende della gig economy, con Foodora, società per la consegna di cibo a domicilio che annuncia che lascerà l'Italia. Poi, all'epoca del decreto dignità e della norma anti-delocalizzazioni, promette guerra, dice, non agli imprenditori onesti, ma a quelli che chiama "i prenditori". Nello stesso periodo lo scontro con Confindustria e una serie di botta e risposta con il Presidente degli industriali Boccia. "Con il decreto dignità ci saranno meno posti di lavoro", incalzava Boccia, "Non possiamo fidarci di chi fa terrorismo psicologico", rispondeva di Maio e così avanti di comune disaccordo anche sulla manovra e sulla proposta per introdurre il salario minimo. Uno scarso feeling che, con gli ultimi episodi, non sembra certo migliorare.