Un nuovo, l'ennesimo, salvataggio pubblico. E' questo lo scenario più probabile per l'ex Ilva. Per scongiurare la liquidazione del gruppo siderurgico che ha il suo fulcro a Taranto, l'unica strada sembra essere quella di un intervento dello Stato, già azionista di quella che con l'ingresso anni fa della multinazionale ArcelorMittal, si chiama Acciaierie Italia. Il colosso franco indiano non considera più strategico lo stabilimento del capoluogo pugliese, il più grande d'Europa con oltre 8.000 operai su 11.000 in tutta Italia e finora non ha mostrato l'intenzione di mettere altri soldi. Quattrini necessari per saldare il conto della lunga lista di creditori, a partire dalle forniture di gas assicurato al momento solo dalla magistratura ed evitare la chiusura. Gli oltre 300 milioni necessari nell'immediato arriverebbero dunque dallo Stato che porterebbe la sua quota, detenuta tramite la partecipata Invitalia dall'attuale 38 al 60%. ArcelorMittal non parteciperebbe al nuovo esborso e a quel punto la gestione dell'azienda potrebbe dover essere ridisegnata col timone in mano al socio pubblico. Il salvagente però rappresenterebbe solo una toppa, per il rilancio si calcola che servirebbe oltre un miliardo e le incognite sono molte. Chi amministrerà l'ex Ilva? Chi garantirà investimenti, produzione, ora ridotta al lumicino, manutenzione degli impianti, sicurezza dei lavoratori e tutela dell'ambiente? Tutti interrogativi ai quali adesso non c'è risposta e che sono legati all'arrivo di un socio privato che prenda le redini e fissi un termine a quella che dovrebbe essere una nazionalizzazione a tempo determinato.