È passato più di un anno da quando il governo ha iniziato a far circolare l'idea di ridurre le tasse al ceto medio, cioè meno imposte da pagare per chi guadagna fino a 50-60 mila euro l'anno. L'ipotesi continua però a rimanere sulla carta e potrebbe non vedere la luce con la manovra, slittando, forse, ai primi mesi dell'anno prossimo. Il tutto però sempre a una condizione, che si trovino i soldi necessari che, a seconda dell'entità dello sconto, oscillano fra i 2,5 miliardi e i 4 miliardi. Il taglio dell'IRPEF, l'imposta sui redditi che pagano per lo più dipendenti e pensionati, è infatti legato a quante risorse si ricaveranno dal concordato biennale, cioè il patto con lo Stato che evita alle partite IVA, cioè a commercianti, professionisti e altri autonomi, controlli fiscali in cambio di un pagamento forfettario. Per aderire a questa sanatoria c'è tempo fino al 12 dicembre, la scadenza del 31 ottobre è stata infatti riaperta dopo che le adesioni hanno tradito le aspettative e l'incasso, si stima, sarebbe di soli 1,3 miliardi. Fondi insufficienti per alleggerire chi oggi ha uno stipendio netto di 2.000-2.500 euro al mese e anche per questo si è allargata la platea della sanatoria includendo il ravvedimento, un'altra sorta di condono per gli autonomi che non hanno versato tutte le tasse tra il 2018 e il 2022. Per invogliare chi finora non ha firmato l'intesa, sono pronte le lettere di invito a quelle partite IVA, oltre due milioni, che hanno cattive pagelle fiscali. Se si convinceranno, l'esca è l'assenza di controlli per due anni, forse ci saranno i quattrini per il promesso taglio delle tasse, che, secondo i commercialisti, farebbe risparmiare fra i 350 e i 440 euro l'anno ai dipendenti del ceto medio.