La pandemia brucia decine di migliaia di posti di lavoro in Italia. Ad aprile, quando molte attività produttive erano ferme per il blocco imposto per arginare le infezioni, si sono persi 274.000 occupati. Un'emorragia che si fa ancora più pesante e che raggiunge quota 400.000 lavoratori in meno, se si considera anche marzo, con un bilancio negativo di quasi mezzo milione nel confronto annuo. Tra tutti quelli forniti dall'Istat è questo probabilmente l'indicatore che meglio ci fa capire quali sono state finora le conseguenze dell'emergenza sanitaria sul mercato del lavoro, che ha colpito soprattutto chi aveva un contratto a termine e che non se l’è visto rinnovare, ma anche gli autonomi e persino gli assunti in maniera stabile, nonostante il divieto di licenziamento imposto dal Governo. Le misure adottate dall'esecutivo, soprattutto con l'estensione dell'uso della cassa integrazione, hanno finora evitato scenari più drammatici, tanto che la disoccupazione è scesa a livelli che non si vedevano da anni. Si tratta però solo di una, per così dire, illusione ottica. I senza lavoro sono diminuiti al 6,3% e per trovare un dato così basso bisogna tornare al 2007, cioè a prima che esplodesse la crisi finanziaria in America, ma questo dato va letto assieme al forte aumento dei cosiddetti inattivi, cioè di coloro che non cercano un posto. L'incremento di quelli che vengono considerati “scoraggiati”, in pratica, è andato di pari passo con la diminuzione dei disoccupati. Discesa che non si è verificata all'estero. Negli Stati Uniti, nel giro di un mese, i senza lavoro sono balzati dal 4,4% al 14,7%. Nel resto d'Europa aumenti ovunque, anche in Germania, dove prima della pandemia la disoccupazione era sostanzialmente assente, si registra un robusto aumento che a maggio, secondo le prime stime, sarebbe intorno al 6%, cioè al nostro stesso livello.