"Criminali, rivoltosi, mercenari dei nemici a cui spezzeremo le mani". Il regime iraniano li chiama così, sono le migliaia di ragazzi e ragazze ventenni arrestati durante le manifestazioni che infiammano il paese da dieci giorni dopo la morte di Masha Amini, arrestata dalla polizia morale perché non indossava correttamente il velo, uccisa dalle percosse, cui si aggiunto, due giorni fa, l'omicidio di Hadith Najafi, vent'anni, la ragazza con la coda bionda, simbolo delle proteste contro l'obbligo per le donne di indossare l'hijab, stroncata da sei pallottole al cuore, al collo e al petto. Ma il velo ormai non è che il pretesto simbolico di una protesta che non è contro l'Islam ma contro il sistema che governa Teheran, i cui rigidi precetti hanno scatenato la rabbia di tutti i ceti sociali. In piazza scendono ventenni ma anche casalinghe, pensionati e musulmani conservatori. Tra i cosiddette criminali arrestati anche tanti giornalisti, blogger, decine di attivisti per i diritti umani e legali. La repressione è brutale, oltre 50 le vittime e centinaia e centinaia i feriti. La posta in gioco è l'esistenza stessa della Repubblica islamica iraniana, che ha fatto dell'hijab uno dei suoi pilastri ideologici. Davanti al silenzio del presidente Raisi e della guida suprema Khamenei, parla invece un alto esponente religioso, il Grand Ayatollah Hamedani, che ha esortato le autorità ad ascoltare la gente. Impossibile prevedere l'esito di questa ondata violenta di proteste, nonostante l'indignazione internazionale il coro di condanna e il richiamo degli ambasciatori, le minacce di sanzioni, sul campo quel che resta è la società civile iraniana, sola a fronteggiare qualcosa di granitico, difficile da scalfire. Ma certo è che questa nuova frattura segna un ennesimo solco tra il governo al potere e cittadini.























