Il tennista Novak Djokovic è rimasto rinchiuso alcuni giorni in un albergo di Melbourne dove si trovano, a volte da mesi, richiedenti asilo che lamentano condizioni di soggiorno inadeguate, come questo ragazzo iraniano. Il campione serbo si è trovato impigliato nel rigido sistema di immigrazione australiano. L'Home Office britannico nel 2019 ha ordinato uno studio su questo metodo, che solleva l'interesse sia di Boris Johnson sia di Matteo Salvini, per capire se adottarlo per arginare gli ingressi nel Regno Unito nel post Brexit. L'Australia, in realtà, vanta numeri alti per quanto riguarda i permessi. Al 30 giugno 2020 c'erano nel Paese 7,6 milioni di persone nate all'estero su una popolazione di 25 milioni. La pandemia ha invertito la tendenza. Durante i mesi più duri Canberra non soltanto ha chiesto a circa un milione di residenti temporanei di lasciare l'Australia, ha persino bloccato fuori dal Paese alcuni suoi cittadini. Nessuno entra senza visto, garantito a mano d'opera qualificata scelta in base a un sistema a punti che valuta caratteristiche come l'età, le esperienze di studio e di lavoro, le lingue. Esistono però due fronti di arrivi diversi: quello aereo e quello via mare. La gestione del fronte marittimo ha creato negli anni controversie, benché si tratti di numeri molto inferiori rispetto agli arrivi di migranti nel Mediterraneo. Dal 2013 i Governi australiani hanno deciso che i cosiddetti "boat people", richiedenti asilo per lo più da Iran, Iraq, Sri Lanka e Afghanistan, avrebbero atteso anche per mesi l'esame delle loro domande in centri di detenzione su due isole dell'Oceania. Le condizioni di vita in questi luoghi - dell'ultimo è stata ordinata la chiusura nei giorni scorsi - hanno sollevato per anni le forti critiche delle associazioni umanitarie.























