La donna si chiama Inas Abu Maamar. Quel fagotto bianco è sua nipote Saly. È una bambina che non arriva ai 10 anni. È stata uccisa da un razzo israeliano che ha colpito la loro casa, a Khan Younis, il 17 ottobre 2023. Insieme a lei sono morte una sorella e la madre. L'ennesima famiglia distrutta, l'ennesimo bambino morto nel conflitto che insanguina l'area dal 7 ottobre, da quando i commando di Hamas fecero strage di 1.700 israeliani, superando il confine con Gaza, provocando la feroce risposta dello stato ebraico. Lo scatto del fotografo Mohamed Salem, della Reuters, che si è aggiudicato il World Press Photo rappresenta in modo incontrovertibile la tragedia che si sta consumando nell'enclave palestinese dove, ad oggi, sono state uccise 34.000 persone. Perché al di là delle ragioni del conflitto, della legittimità o meno della ritorsione israeliana, quel che non viene mai sottolineato abbastanza nel racconto della guerra di Gaza è l'immane prezzo pagato dai civili. Costretti a una continua migrazione da nord a sud, e poi nuovamente in fuga dal sud, divenuto obiettivo dell'avanzata di Tsahal, la popolazione palestinese è costretta in un inferno di privazioni e lutti infiniti. Ma è soprattutto il dazio di sangue pagato dai minori che diventa ogni giorno più intollerabile. Il Commissario Generale dell'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, Philippe Lazzarini, ha denunciato come nella striscia di Gaza siano morti più bambini dal 7 ottobre 2023 rispetto a quelli morti nelle guerre scoppiate in tutto il mondo negli ultimi quattro anni. Il dato assoluto relativo è impressionante: 13.800, altri 14.000 i feriti. Per dare un'idea della dimensione della tragedia in corso, Janti Soeripto, presidente di Save the Children USA, ha spiegato che significa la morte di un minore ogni 15 minuti. Sono dati provvisori destinati purtroppo a salire nelle prossime settimane, in assenza di un qualsiasi accordo tra le parti. E mentre i negoziati si avviano verso l'ennesimo stallo migliaia di Saly sono condannate ad essere avvolte nel sudario cullate dalle braccia di un qualche parente sopravvissuto.