Attesa, ma soprattutto apprensione per il vertice che ha visto i leader del cosiddetto Asse della Resistenza Islamica, ovvero i paesi capitanati dall'Iran che si oppongono fermamente all'esistenza dello Stato Ebraico, minacciare vendetta in seguito al raid israeliano che ha colpito lunedì l'ambasciata iraniana a Damasco in Siria, uccidendo alti esponenti dei pasderan iraniani, del jihad islamico e un membro di Hezbollah, il movimento sciita libanese alleato di Teheran. Il Presidente iraniano Ibrahim Raisi promette azioni dure e mirate contro lo stato ebraico; il capo dell'ufficio politico di Hamas Isma'il Haniyeh dichiara che il movimento islamista palestinese continuerà la sua lotta contro Israele. Parole sostenute dal leader del Partito di Dio Hassan Nasrallah. Mentre il fronte dell'unità rimane coeso contro quello che definisce il nemico sionista, si moltiplicano le reazioni della comunità occidentale dopo l'attacco israeliano che ha colpito il convoglio umanitario della ONG statunitense World Central Kitchen uccidendo sette cooperanti internazionali a Gaza. Il Presidente americano Joe Biden, in attesa di un colloquio con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, sostiene che lo stato ebraico non stia facendo abbastanza per mettere in sicurezza i civili e gli operatori umanitari all'interno di una striscia dove un quarto della popolazione è a rischio carestia. Varsavia convoca l'ambasciatore israeliano, critiche a Netanyahu anche dalla Spagna di Pedro Sanchez, mentre Londra chiede un'inchiesta completa urgente e trasparente sull'accaduto. Intanto, crescono le frizioni interne al governo israeliano: Binyamin Gantz, leader centrista e ministro del gabinetto di guerra in testa ai sondaggi, chiede per la prima volta dall'inizio del conflitto elezioni anticipate per settembre. Una mossa criticata dal leader del Likud che ribadisce, ancora una volta, la volontà del governo di andare avanti fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi della guerra.