Lo stupro come strumento di guerra, come arma. Il corpo delle donne come campo di battaglia, quasi una tattica, non più soltanto un effetto collaterale. Anche dall'Ucraina martoriata arrivano testimonianze e racconti di puro orrore. L'ultimo da Mariupol, la città che sta pagando il prezzo più alto. È il Ministero della Difesa ucraino a ricostruire la storia di una donna stuprata per sei giorni dai soldati russi e lasciata morire. Tutto, sarebbe avvenuto davanti agli occhi del figlio di 6 anni, i suoi capelli diventati grigi. Donne come bersaglio strategico. E appena due giorni fa, la Commissaria Europea per gli Affari Interni, Ylva Johansson, parlava così: Oltre 2.000 le indagini a carico dell'esercito di Mosca, che continua a negare. In effetti le accuse non sono state ancora confermate da fonti indipendenti, ma secondo Human Rights Watch, le truppe russe si sono macchiate di reati sessuali anche in passato, in particolare durante la guerra in Cecenia. E poi non si contano i racconti di deportazione di massa. Per il Ministero degli Esteri ucraino, oltre 2.000 bambini del Donbass occupato, sono stati portati finora illegalmente in Russia. E ancora, madri con figli e anziani. Sono le tattiche di sempre. Violentare per umiliare e dominare. Allontanare per ricattare gli uomini rimasti a combattere. Un modo per ribadire la conquista del territorio. Mentre lo stupro di guerra e la deportazione, rischiano di assumere i contorni di una inaccettabile normalità.