Il day after, il giorno dopo la sconfitta di Hamas a Gaza è un tema che provoca un terremoto politico all'interno del gabinetto di guerra di Benjamin Netanyahu. Il Ministro della Difesa Yoav Gallant, senza peli sulla lingua, afferma in una conferenza televisiva che non sosterrà un Governo militare a tempo indeterminato nella Striscia di Gaza. Ma le sue dichiarazioni fanno infuriare non solo il leader del Likud che ricorda al Capo della Difesa che l'eliminazione di Hamas deve essere perseguita senza scuse per aprire la strada verso un Governo alternativo nell'enclave palestinese, ma anche il Ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir, l'uomo della destra oltranzista che chiede a gran voce le dimissioni di Gallant. Intanto l'Esercito israeliano continua ad avanzare nella parte orientale di Rafah, circa 30mila soldati sono schierati all'ingresso della città e potrebbero portare avanti già nei prossimi giorni un'offensiva su vasta scala nella parte più a sud della Striscia di Gaza. Un'operazione che preoccupa da mesi l'intera comunità internazionale, dopo Washington si muove anche Bruxelles con il Capo della Diplomazia europea, Josep Borrell, che chiede allo Stato ebraico di porre fine immediatamente ai combattimenti in corso a Rafah, per evitare che la situazione umanitaria, già precaria, possa peggiorare. Intanto gli Stati Uniti dopo il blocco dell'invio ad Israele di 3500 bombe per il timore che potessero essere utilizzate dall'Esercito con la Stella di David nell'invasione di Rafah intendono procedere con la vendita di armi per un miliardo di dollari allo Stato ebraico, una mossa per gli analisti volta a ricucire i rapporti con il premier israeliano Benjamin Netanyahu.