Una guerra a bassa intensità, che non prevede l'uso di armi convenzionali, ma si nutre della paura per sconfiggere il nemico. La paura dell'altro, del diverso da noi, che di fronte a una catastrofe inspiegabile rende più semplice andare alla ricerca di un capro espiatorio che della verità. In India il Covid-19 ha riacceso la violenza contro i musulmani. Il virus è stato ribattezzato, anche nei dibattiti TV, ma soprattutto sui social: Corona Jad, alimentando il sospetto che a diffondere il contagio siano stati proprio i musulmani, intenzionalmente, per distruggere la società indiana. In diverse zone del Paese sono stati segnalati attacchi violenti musulmani. In molti villaggi, viene impedito loro l'ingresso. Una teoria cospiratori che si aggiunge a quella già esistente sui musulmani che aspettano dietro le quinte, riproducendo sia un ritmo frenetico per inquinare la terra indù. La povertà in cui versa il sub-continente in cui la fame miete molte più vittime del virus ha fatto il resto. Rallentando anche lo slancio acquisito dal Movimento di protesta contro la nuova legge sulla cittadinanza e altre norme discriminatorie nei confronti dei musulmani. Ma l'India non è l'unico luogo del mondo dove la paura dell'altro, si è fatta strada. Le aggressioni nei confronti di cittadini cinesi o asiatici, in Europa, negli Stati Uniti o in Africa sono state il campanello d'allarme. Così, mentre è negli Usa il Presidente Trump ad alzare i toni contro la Cina, ritenuta responsabile della pandemia, in molte aree della Repubblica popolare a far paura oggi sono gli africani. Dopo le notizie di alcuni casi di contagio fra i migranti. Paradossi della storia che rischiano di creare un circolo vizioso di rappresaglia che a lungo andare può essere ben più pericoloso del virus che stiamo cercando di sconfiggere.