Per mesi questa città, città martire, è stata il simbolo della Resistenza ucraina all'invasione russa. Ora anche a Mariupol si vota per il referendum sull'annessione delle province di Zaporizhzhia e Cherson oltre che delle due repubbliche separatiste del Donbass. Per Lyudmila è l'occasione per ricominciare, "per avere pace", dice, "e liberarci dal male che ci ha umiliato e ucciso". Per Vadim è la speranza di una vita buona e a 72 anni spera che i suoi figli la potranno raggiungere. Volti e storie di una terra spaccata e martoriata per un voto dall'esito scontato e che potrebbe dare una svolta alla guerra. Perché Mosca, a risultato ratificato, garantirà, è la sua promessa, piena protezione ai territori. Con qualsiasi strumento e arma. Il mondo assiste e condanna questa volta davvero unito: da Washington a Pechino, con il consigliere di Volodymyr Zelensky Podolyak che scandisce "bisogna richiudere il vaso di Pandora", mentre in patria la mobilitazione parziale ha risvegliato un'opinione pubblica a lungo silente. Almeno 2.000 gli arresti nelle proteste che hanno coinvolto più di 30 città mentre continuano le fughe verso i confini tanto che il Cremlino starebbe pensando di chiuderli agli arruolabili a partire dal 28 settembre. Ma lo scontento è più ampio. Anche due alleati di Putin, figure ai vertici della Duma, si sono espressi contro gli eccessi della mobilitazione militare invitando i funzionari regionali a gestire le chiamate evitando gli eccessi appunto. Perché in questi giorni ad essere chiamati sono stati spesso e volentieri anche quelli che per età, lavoro o formazione avrebbero dovuto essere esentati.























