Ad Oslo i figli con la loro preoccupazione per le condizioni di salute della madre. A Strasburgo avrebbero voluto i genitori e c'è l'appello europeo affinché Teheran restituisca loro i passaporti. Narges Mohammadi e Mahsa Amini, la Premio Nobel per la pace, la ragazza da qui tutto questo è scaturito. Storie e generazioni che si intrecciano e che non si arrendono alla repressione del regime che Mohammadi definisce tirannico e misogino. Detenuta nel carcere di Evin dove ha iniziato uno sciopero della fame per avere la possibilità di farsi ricoverare in ospedale senza velo, condannata a 31 anni di reclusione e a 154 frustate, la sua sedia sul palco della cerimonia del Municipio di Oslo è rimasta vuota. Un vuoto che non è stato silenzio. Il suo messaggio è arrivato potente attraverso la lettera affidata alla figlia nella quale ha denunciato il regime religioso del Paese. La sua censurare, repressione, corruzione, propaganda. Ha esortato a fare di più per i diritti umani, Mohammadi, che lotta contro l'obbligo del jihab contro donne e contro la pena di morte in Iran. Arrestata 13 volte, gran parte degli ultimi decenni li ha trascorsi rinchiusa nelle carceri iraniane. Il suo volto è il simbolo delle proteste esplose dopo la morte di Mahsa Amini, la 22enne curda iraniana deceduta lo scorso anno mentre era in stato di arresto per aver indossato il velo non correttamente. A lei, a Mahsa Amini, dopo la morte è stato conferito il premio Sackarov dell'Europarlamento per la libertà di pensiero. Teheran ha bloccato il padre, la madre e il fratello poco prima dell'imbarco per la Francia dove avrebbero dovuto ricevere il premio e nonostante i visti i loro passaporti sono stati sequestrati. "Il loro posto all'Europarlamento assieme alle coraggiose donne iraniane" ha chiesto la Presidente del Parlamento Roberta Metsola.