Lasciano l'aula i genitori di Giulio Regeni, non vogliono rivivere quei momenti quando il corpo viene ritrovato, né vogliono ascoltare delle condizioni in cui era, degli evidenti segni di tortura, dei colpi ricevuti, degli ematomi. "Bruciature di sigaretta su tutto il corpo, dei segni probabilmente fatti con qualche oggetto contundente dietro sulla schiena." È l'Ambasciatore Maurizio Massari a parlarne testimone nel processo per l'omicidio del ricercatore, rapito, torturato e ucciso al Cairo nel 2016, un'udienza e una testimonianza chiave dunque per ricostruire quei giorni. "Ricevo un messaggio da un professore d'italiano al Cairo, Gennaro Gervasio che mi segnala di questa sparizione di un suo amico e collaboratore appunto Giulio Regeni." La delegazione diplomatica italiana avvia le ricerche negli ospedali, negli obitori ma nulla, nei giorni successivi Massari chiede ripetutamente di parlare con il Ministro dell'Interno Ghaffar e ci riesce soltanto il 2 febbraio, la richiesta è chiara. "Ripeto, non sapendo quali fossero le sorti del connazionale io ho ripetei due volte: we want Giulio back." Il giorno dopo l'incontro con il presidente Al Sisi che rassicura: "Faremo ogni sforzo per far chiarezza sulla scomparsa." È il pomeriggio inoltrato del 3 febbraio. "Quando voi incontrate il presidente il corpo è stato ritrovato da alcune ore." "Direi di sì." Ma il sospetto che fosse accaduto qualcosa di molto grave era consistente, troppe le reticenze e le resistenze da parte egiziana le stesse che hanno accompagnato negli anni gli sforzi di investigatori e inquirenti italiani per far luce.