“Ci vuole coraggio anche per chiudere” scrive così John Elkann in una lettera ai dipendenti in cui cerca di rassicurare, dopo l'improvvisa rottura del fidanzamento tra FIAT Chrysler e Renault. Il numero uno di Fca spiega che il gruppo rimane aperto a possibilità, ma da una posizione di forza e indipendenza e sottolinea nuovamente non solo l'opportunità perduta, ma le ragioni dietro lo strappo, puntando il dito direttamente contro lo Stato francese che detiene il 15% di Renault e che avrebbe tirato troppo la corda fino a farla spezzare, chiedendo un ulteriore rinvio della decisione finale sulla fusione, nel tentativo, anzitutto, di coinvolgere a pieno anche il partner di Nissan, che erano rimasti freddi rispetto all'offerta di integrazione di Fca tanto ad astenersi in Consiglio d'Amministrazione che avrebbe dovuto essere risolutivo e che, invece, si è concluso con un nulla di fatto, convincendo il Lingotto a far saltare il tavolo. Il Governo di Parigi, che aveva chiesto garanzie sui livelli occupazionali, la sede principale del nuovo gruppo in Francia, un posto nella governance, non ci sta, però, a farsi addossare troppe responsabilità e accusa Fca di aver fatto troppe pressioni e di avere presentato una proposta poco flessibile, una specie di prendere o lasciare che non è piaciuta al Tesoro francese, che ha sottolineato di aver mantenuto un atteggiamento costruttivo e non ha voluto chiudere le porte, ricordando con un accordo in futuro resta ancora possibile, anche perché a pagare le conseguenze di questa rottura scomposta, per il momento, sembra essere soprattutto Renault, che, infatti, ha preso le distanze dal suo azionista di riferimento e si è detta rammaricata per l'opportunità perduta. Insieme, infatti, le due case avrebbero potuto creare il terzo gruppo automobilistico al mondo, il primo se ci fosse stata anche Nissan, con vantaggi sia per quanto riguarda il livello occupazionale che per quel che concerne l'innovazione, nonché l'apertura per entrambe le società a nuovi tipi di mercato e, soprattutto, avrebbero potuto essere più forti e difendersi maggiormente rispetto alle turbolenze che sono attese nei prossimi mesi sul mercato dell'auto, a partire dal rallentamento dell'economia mondiale, passando per i dazi che Donald Trump minaccia proprio di mettere sulle auto europee.