Il primo Governo italiano guidato da una Presidente del Consiglio di destra e con il centro in netta minoranza è una sorta di sorvegliato speciale sul palcoscenico mondiale. Eppure, analizzando i dossier sul tavolo, questa Premier sembra promettere molte meno novità o sbandamenti rispetto al passato. Soprattutto il recente passato, quello del Governo giallo-verde che aveva avvicinato molto Roma a Mosca e Pechino. Governo politico quello, governo politico questo, ma con Meloni a Palazzo Chigi la linea scelta sembra essere quella della continuità diplomatica e storica. In primis sulla guerra in Ucraina: europeismo e atlantismo significano sostegno alle sanzioni e la linea di supporto esterno a Kiev è scelta dalla NATO, mentre la denuncia dell'aggressione di Vladimir Putin ribadita più volte dalla nuova Presidente del Consiglio mette a tacere i dubbi sorti con le parole di Silvio Berlusconi, questa volta semplice partner di minoranza di un Esecutivo che non lo vede tra i Ministri e ormai neanche tra i padri nobili. Una sfida sarà il posizionamento nell'Europa unita, dove il punto di equilibrio sarà da trovare tra le posizioni sovraniste rivendicate e incarnate a Bruxelles dall'amico Viktor Orban in rappresentanza del gruppo di Visegrad, e l'asse creata da Mario Draghi con la Francia di Emmanuel Macron sui temi difficili e fondamentali, come ad esempio il caro energia, il PNRR, all'orizzonte anche la riforma del patto di stabilità. Qualcosa questo Governo forse dovrà concedere, se non altro perché nel Consiglio Europeo gli alleati si contano, sì, ma si pesano anche e un punto di sintesi potrebbe crearsi a Varsavia. Più complesso il rapporto, tutto da costruire, con questa Casa Bianca. La vicinanza di Giorgia Meloni allo stratega di Donald Trump, Steve Bannon, è nota e non può piacere. Lo spostamento a destra dell'Italia è stato citato -e non certo in positivo- da un Joe Biden in campagna elettorale per le mid-term. Ma i rapporti bilaterali Italia-USA sono più grandi e più forti di un singolo Esecutivo, guidato da una Presidente del Consiglio che sull'appartenenza alla NATO non ha mai avuto tentennamenti e che di segnali, al 1600 di Pennsylvania Avenue, ne ha mandati parecchi, due su tutti. Da un lato, appunto, le parole nette nel sostegno a Kiev. Dall'altro, la linea pro Taiwan recentemente rivendicata da Meloni: «il suo destino è questione fondamentale per l'Italia, il comportamento cinese è inaccettabile», le sue parole. Una linea e una chiarezza che la rende un unicum in Italia e che nello scontro USA-Cina chiarisce senza ombra di dubbio la scelta, tanto da arrivare a definire «un grosso errore» la firma del memorandum Belt and Road posta dal Governo Conte-Salvini. Una firma da rinnovare nel 2024 e per la quale Meloni ora difficilmente vedrebbe le condizioni politiche. Parole che a Washington non saranno passate inosservate, così come a Pechino.























