Uscito da Palazzo Chigi, dopo lo schiaffo referendario, Matteo Renzi rientra al Nazareno come segretario del Pd per tracciare la road map verso il congresso. Smentendo chi ipotizzava un suo Aventino dopo le dimissioni da premier, Renzi prende la parola per augurare buon lavoro al nuovo Presidente del Consiglio e annunciare la stagione congressuale del Pd che, fosse per lui, si aprirebbe subito. Il 18 dicembre la parola passa all’assemblea, che deciderà il da farsi. “Ci sono due alternative molto semplici: o si fa il congresso o non si fa il congresso. Non è che ci sono tre alternative per cui, se io propongo il congresso, la risposta è ‘no, non bisogna fare il congresso’. ‘Allora non propongo il congresso’. ‘Vedi che è attaccato alla seggiola’. Non funziona. È evidente che, nell’arco dei prossimi mesi, noi andremo a un passaggio di elezioni politiche per i motivi che tutti noi abbiamo detto più volte e che hanno detto, devo dire, anche gli altri. Anzi, più gli altri di noi. Noi non abbiamo paura mai del confronto con le persone”. Con un “Caro Paolo Gentiloni, siamo tutti con te” Renzi ha benedetto il voto all’unanimità della direzione, che si è espressa a favore dell’ordine del giorno che esprimeva il sostegno del Pd al nuovo Esecutivo. Sull’appoggio a Gentiloni i toni restano pacati, ma la minoranza del Pd invoca discontinuità, con una maggiore attenzione alle politiche sociali. Ma è la conta al congresso e la convivenza nel partito ad accendere le polveri in direzioni. Il passaggio necessario – incalza Roberto Speranza – è quello di un congresso vero, che non sia un votificio o la rivincita del capo irritato dal risultato del referendum. Pier Luigi Bersani, ora che Verdini si è sfilato dalla fiducia, non è disposto a votare tutti i provvedimenti del Governo a scatola chiusa. “La fiducia, il sostegno, la stabilità la garantiamo. Si è capito, no? Siamo responsabili. Dopodiché, sui singoli provvedimenti, per quello che mi riguarda, devono convincermi”. Renzi, nello scontro a chi si intesta le percentuali del referendum che ha premiato il “no” con il 60 per cento e ha lasciato al “sì” il 40, se la prende con la minoranza. L’elettorato di sinistra e popolare non lo ha mai visto nemmeno con il binocolo il 40 per cento.