Alzi la mano chi, figlio degli anni Ottanta e Novanta, non si è ritrovato almeno una volta a canticchiare Candy Candy è simpatia. Tutte noi, oggi trenta-quarantenni, abbiamo un po’ sognato con quella dolce orfanella bionda con le lentiggini e il fido procione Clean a fianco. Ci siamo trovate, come lei, di fronte al dilemma: meglio un fidanzato rassicurante come Anthony o uno un po’ più scapestrato come Terence, per poi piangere sconsolate quando il primo, cadendo da cavallo, muore. Sono passati quarant’anni dalla messa in onda su una TV giapponese della prima puntata del cartone. Era il 1° ottobre del 1976 e, forte del successo ottenuto in soli dodici mesi dall’omonimo manga, si decise di portare le avventure di Candy Candy anche in TV. In Italia la serie sarebbe arrivata quattro anni più tardi. Trasmessa ininterrottamente dal 1982 al 1997, le centoquindici puntate della serie sono state bloccate diciannove anni fa a causa di una controversia legale fra le due autrici del manga. Un fenomeno, quello della dolce Candy, che si è abbattuto come un ciclone sul merchandising legato ai cartoni animati. Una marea di quaderni, block-notes, gomme per cancellare, bambole in ogni formato, tazze e piatti dedicati, dilagò nei negozi per bambini e nei grandi magazzini. Trovatella cresciuta in un orfanotrofio, passata attraverso adozioni misteriose e sfruttamento, umiliata e trattata come una sguattera, Candy riesce a finire i suoi studi e a diventare infermiera. Raggiunge la sua indipendenza economica e diventa, di fatto, la prima vera icona manga femminile degli anni Ottanta.