Una gaffe davvero da Oscar, una busta sbagliata consegnata a Warren Beatty e Faye Dunaway e il loro annuncio in mondovisione, per la verità un po’ titubante, che l’Oscar per il miglior film va a La La Land. Però, non è vero. Quel premio, in realtà, è per Moonlight di Barry Jenkins, la formazione di un ragazzino di colore nel ghetto nero di Miami. Il mondo lo scopre mentre la squadra del film musicale del giovanissimo Damien Chazelle, guidata da Emma Stone e Ryan Gosling, è sul palco a festeggiare, con dedica a familiari e amici in un incredibile crescendo di confusione. “Non è uno scherzo. È Moonlight ad aver vinto”. Si è conclusa così l’ottantanovesima edizione della notte delle stelle, in cui il dominatore annunciato, La La Land, ha portato a casa sei delle quattordici statuette a cui aspirava: miglior regia, miglior attrice, Emma Stone, e poi colonna sonora, canzone originale, scenografia e fotografia, ma non quella per il protagonista maschile, andata a Casey Affleck per Manchester by the Sea, e appunto l’Oscar per il miglior film. Anche la parola “conclusa” per la verità appare azzardata, vista l’istantanea esplosione di battute polemiche e rumors sui social media, che vanno dalla trovata pubblicitaria a spericolari collegamenti con quel “boycott oscar” lanciato dai sostenitori di Trump per difendere il loro Presidente da tempo bersaglio dello showbiz liberal. La società che si occupa del conteggio dei voti agli Oscar ha annunciato un’inchiesta. Ciò che è già certo è che la papera finale ha trasformato in so wrong un’edizione affollata di premi al cinema d’impegno che voleva riscattarsi dall’accusa toccata alle precedenti di essere so white, troppo per bianchi, distribuendo agli afroamericani Mahershala Ali e Viola Davis gli Oscar per attore e attrice non protagonista e a O.J.: Made in America, di Ezra Edelman, l’Oscar per il documentario, ai danni tra l’altro di Fuocoammare di Gianfranco Rosi. A riscattare il nostro cinema ha pensato Alessandro Bertolazzi, vincitore, con Giorgio Gregorini, del riconoscimento per il make-up di Suicide Squad, con una dedica toccante: “Io vengo dall’Italia. Lavoro in tutto il mondo, quindi questo Oscar va a tutti gli immigrati e gli immigranti”.