Un'opportunità e anche un potenziale rischio, è l'intelligenza artificiale applicata alla giustizia, di cui molti vedono già le premesse nel regolamento diffuso dal Ministero della Giustizia poco più di un mese fa e che dal 30 giugno farà entrare in piena attività il processo telematico nel settore civile. Norma di cui l'Organismo Congressuale Forense chiede a gran voce lo slittamento, vista la situazione drammatica, dicono, di cancellerie e giudici di pace sul fronte della formazione degli strumenti informatici. Il regolamento oltre a prevedere precisi criteri con cui scrivere gli atti giudiziari, come un massimo di 25 pagine, una dimensione 12 del carattere, un'interlinea di 1,5 cm, prevede anche l'uso di un massimo di 10 parole chiave che individuino l'oggetto del giudizio. Ed è proprio questo il punto che genera maggiori perplessità tra gli avvocati. "Chiaramente le parole chiave guardano alla macchina. E allora il timore qual è? Questi atti, come dire, ci preparano alla possibilità di essere letti solo da una macchina. Il rischio su cui tutti siamo d'accordo è che venga sostituito il giudice e che quindi la decisione non sia affidata a una persona umana". Sull'uso dell'intelligenza artificiale applicata al diritto c'è già un precedente in Francia che risale al 2019 quando un software, che classificava le sentenze dei giudici prevedendo attraverso un algoritmo quali avrebbero potuto essere gli esiti di un procedimento simile, era stato proibito. Nel nostro Paese un software di intelligenza artificiale è stato usato dalla Procura di Genova nel processo per il crollo del ponte Morandi, per categorizzare milioni di file e documenti. "Vedo tantissime opportunità ma dipende come ci comporteremo nei prossimi mesi e anni, perché o noi prendiamo sul serio una regolamentazione e dei limiti, e impariamo a limitarci, e a creare delle regole chiare, oppure difficilmente noi potremo dominare un processo tecnologico che veramente ci sovrasterà".