"Io, anche con me la bimba quando piangeva e naturalmente il bisogno non è che lo capisci. Quando prende quel pianto disperato ti viene il dubbio, no? Dici ma sta bene? Non sta bene?" Serena è un genitore come tutti gli altri, con la paura di non capire il suo bambino. Il neonato ci manda dei messaggi, i vagiti non sono casuali. "Non possiamo parlare di pianto afinalistico, ma è un pianto sicuramente che dentro c'ha una forma di comunicazione. Ora, chiaramente è una comunicazione semplice, è una comunicazione rivolta nel 100% dei casi alla mamma. Però è una comunicazione, che secondo me, merita di essere decodificata perlomeno per essere associata a degli stati." Così è nato lo studio del Centro per la Formazione Neonatale dell'Università di Pisa "Nina", assieme all'Istituto di Scienza e Tecnologie dell'Informazione del CNR. All'atto pratico, un software. In futuro, chissà, un'App che funzionerà come un traduttore. Per prima cosa sono state registrate le tracce audio. "I pianti sono stati registrati in maniera semplicissima in realtà. Era proprio uno dei target che volevamo. Siamo andati su, nei reparti di terapia intensiva, subintensiva e il nido, con un semplice cellulare." E poi è arrivata in soccorso l'intelligenza artificiale, che ha saputo integrare le conoscenze degli studi psicoacustici delle scienze cognitive. "Il pianto del neonato viene isolato in modo tale che sia poi fruibile per effettuare delle analisi di diagnosi precoce." Una difficoltà dello studio sta nelle codifiche, il pianto è cosiddetto in lingua. Ogni idioma quindi ha un sul vocabolario, ad esempio bimbi cinesi piangono in cinese, con la necessità di un database dedicato.