“Arriveremo alla mia completa innocenza, okay? Non è fisiologico, la differenza tra A e B, non è spiegata la meccanica, ci sono tante cose, ma non basta e io spero, ho tanta pazienza, tanto fondo, non è mai stato un problema il fondo, che ci venga concessa ancora quest'ultima cosa di dimostrare coi numeri, prodotti qua dentro e non so dove, che questi dati non possono essere possibili”. “Cosa sono stati, Alex, in una definizione, questi tre anni? Persone che hanno creduto in te e persone invece che non ti hanno mai creduto e continuano a farlo, ti danno dell'imbroglione, quindi è comunque un condensato di emozioni contrastanti”. “Innanzitutto io mi concentro da sempre su di me, sulle persone che mi stanno vicino, non sono lì a leggere quello che dice non so chi, al bar, dopo due birre, non mi interessano. Io questi tre anni da un lato li ho trascorsi molto bene perché ho una famiglia molto bella...”. “Ti sei sposato, sei diventato papà”. “Sì sì, mai stato così bene, devo dire la verità, a livello privato. Sì, poi c'è questa cosa dove bisogna lottare. Però, attenzione, lo sapevamo fin da subito che c'era da lottare”. “Tu non sei più un atleta, lo sei stato. Questo processo è anche un messaggio non di certo positivo per gli atleti perché comunque stiamo assistendo, al di là di come finirà, alla proiezione di anomalie, dettagli, sfaccettature, intrighi. Fossi un atleta, io in questo momento avrei paura a sostenere un controllo antidoping perché non so in che mani finiscano le provette”. “No perché l'atleta pensa che a lui non succederà mai, okay? Questo, al contrario, visto il problema, è il problema che avrei io se arrivassi al punto di tornare”. “Tu non hai mai pensato di tornare? Perché comunque c'è una squalifica di otto anni, quella sportiva. Tu non stai affrontando questa battaglia per tornare?” “No no no. Io sto affrontando questa battaglia in primis perché io sono innocente, questo deve risultare alla fine di tutta questa storia. Però, ritornando alla tua domanda, gli atleti pensano: a me non succederà mai. L'atleta vive un po' nel suo mondo, non è che è lì a pensare alle possibili cose che potrebbero fare con le urine. In generale, sì, secondo me è assolutamente necessario ripensare alcune cose nel regolamento antidoping. Tutti quelli che partecipano a questo 'circo' devono avere le stesse regole e devono essere tutelati nella stessa maniera. Questo nessuno mi può dire che succede in questo momento perché l'atleta è l'ultimo che viene tutelato”. “Che cosa fa di lavoro adesso Alex Schwazer?”. “Io adesso da tre anni, adesso faccio il quarto anno, alleno podisti amatori, un campo molto grande perché ci sono migliaia di persone che corrono e dove l'assistenza, il coaching è molto molto ridotto secondo me, perché gli allenatori in primis pensano ad alto livello, agli atleti ad alto livello, non agli amatori. Io, con tutto quello che ho un po' imparato in questi anni, ho un bel gruppo che alleno per soprattutto mattone. Ho un lavoro che va molto molto bene, quindi su questo non mi posso mica lamentare”.