Sky Inclusion Days - Nata in via delle cento stelle

16 mag 2023
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Eccoci qua! Buon pomeriggio a tutti, sono Federico Taddia, sono uno scrittore e un giornalista. Ho il piacere oggi di raccontare una storia molto vecchia, una storia antica, una storia lunga 100 anni, della storia di una donna, la storia di una scienziata, la storia di una ricercatrice, la storia di una moglie, la storia di una gattara, di un'atleta, di una militante; e per me, il privilegio di poter dire che è anche la storia di un'amica, ed è la storia di lei, di Margherita Hack. E quando mi hanno invitato a questo evento dove si parla di inclusione, ho subito pensato a Margherita, ho avuto, appunto, la fortuna di poterla conoscere, di poter raccontare la sua storia, in una ventina di minuti cercherò di raccontarvi questi 100 anni, lo scorso anno era, appunto, l'anniversario della sua nascita, da un nuovo punto di vista che è quello dell'inclusione. Margherita Hack tutti la ricordiamo, spettinata, toscana, parolacce, militante, ironica, una grande testa; questa è la sua prima foto da bambina, nasce il 12 giugno del 1922 a Firenze. Papà Roberto e mamma Maria Rossella hanno abbracciato la teosofia, la teosofia è una sorta di filosofia, una sorta di religione, è soprattutto uno stile di vita che mette al centro la persona, il creato e le sue creature. Cosa significa per Margherita? Significa che nasce e cresce in una famiglia e respira fin dal principio il senso di giustizia, il senso di democrazia, il senso di libertà. Lo respira così tanto, il senso di libertà, che Margherita Hack nasce senza regole, perché l'idea educativa di questi genitori è proprio mettere la responsabilità al centro, quindi non dare regole a Margherita Hack. Margherita nasce e cresce come una piccola Pippi Calzelunghe. C'è un albero, si arrampica sull'albero, c'è una pozzanghera, si butta nella pozzanghera, è sempre sporca, ha le ginocchia sbucciate, corre dietro al pallone, è un maschiaccio, così veniva definita. Le altre mamme e gli altri papà, soprattutto le altre mamme dell'epoca, non vogliono che i propri figli giochino con Margherita Hack. Questa storia di inclusione, inizia proprio con una esclusione. Margherita Hack, ha un cognome strano, è l'unica ad essere vegetariana, è l'unica a non essere cattolica, viene etichettata dalle altre bambine e dagli altri bambini come la diversa, viene accantonata. Lei ci prova in tutti i modi a farsi integrare, diventa una bulla, usa la coda, una lunga coda di cavallo di una compagna di classe, la intinge, questa coda, quotidianamente nell'inchiostro e scrive sul proprio foglio, appunto per cercare di acquisire anche lei una propria identità. Di nascosto fa la Prima Comunione, inizia a frequentare un sacerdote senza dirlo a mamma e papà, fa la Prima Comunione perché dice: accidenti, se divento cattolica cambia tutto, divento come le altre, quindi fa la Prima Comunione, fa passare 24 ore, si accorge che nulla cambia nella sua vita e decide che anche quella era la scelta, quindi insomma, Margherita Hack nasce e cresce con spirito libero, ma in una profonda solitudine. Questa storia di inclusione è fatta di tanti pezzettini e questo è il primo pezzettino: è la bicicletta. Per Margherita Hack è stato il primo elemento di rivendicazione, il primo elemento di identità, il primo elemento di libertà. Fin da bambina desidera avere una bicicletta, fin da bambina si fa regalare una bicicletta, fin da bambina acquisisce le competenze per montarla, smontarla, dipingerla, ricolorarla. E tutta la sua vita sarebbe stata, appunto, in sella a una bicicletta, perché la bicicletta diventa quell'elemento grazie al quale può camminare, può spostarsi, può non farsi accompagnare da mamma e papà, se ne frega se arriva in bicicletta a scuola coi capelli bagnati, i vestiti sporchi per il grasso della catena. Le compagne di classe, le amiche, soprattutto durante l'adolescenza, la prendono in giro per tutto questo, ma lei va avanti, va avanti per la sua strada, pedalando, pedalando. Lo sport, per Margherita Hack diventa altro elemento di esclusione e di inclusione. Viene rimandata in terza media, all'epoca si rimandava anche alle medie, viene rimandata in matematica, perché il lunedì durante le lezioni di matematica leggeva La Nazione, leggeva le pagine dello sport, perché era tifosissima della Fiorentina, lei viveva per la Fiorentina, da grande avrebbe voluto fare la giornalista sportiva, conosceva tutti i giocatori della Fiorentina, ha fondato un club di tifosi della Fiorentina nella sua scuola, la cui sede era nel bagno delle femmine, riscriveva gli articoli. A 15-16 anni si è costruita in casa una radio, da sola, per poter ascoltare le partite della Nazionale e della Fiorentina. Quindi lo sport, una cosa da maschi, questo continuavano a dirle, il pallone, appunto lei faceva tutti gli sport possibili, correndo con questo pallone, diventa altro fatto identitario, esclusivo ma anche inclusivo. E poi arriva l'atletica. È in terza superiore, bussano alla porta, toc, toc, entra la professoressa di educazione fisica e dice: si è fatta male la lanciatrice del peso, ci sono i Giochi della Gioventù questo weekend a Roma, chi vuol partecipare? E lei alza la mano: io. Sai lanciare il peso? No, però se mi dite come si fa, lo faccio anche. Parte, notte, viaggio in treno con tutti gli altri atleti, arriva sulla pista di gara, come tutte le belle storie ovviamente, arriva, partecipa, gareggia e arriva ultima. Però un allenatore la vede, immaginate Margherita Hack, è una che veramente è cresciuta andando in bicicletta e arrampicandosi sugli alberi, è alta, tonica, ha un bellissimo fisico, questo allenatore capisce che ci sono delle potenzialità in questa ragazza e dice: guarda, l'atletica è fatta per te, ma non è il lancio del peso, vieni lunedì al campo, proviamo le varie discipline, capiamo per cosa sei portata. Il lunedì mattina si presenta, prova tutte le discipline e capiscono che è portata per i salti, in particolare salto in alto, ma anche il salto in lungo. Inizia ad andare all'atletica, tutti i giorni, la sua vita inizia ad essere atletica la mattina, la scuola, atletica il pomeriggio, un po' di compiti giusto per far felice mamma e papà, non è mai stata una brillantona a scuola, e l'atletica diventa la sua vita, grazie all'atletica viene accettata dagli altri, grazie all'atletica non è più quella esclusa, grazie all'atletica inizia a viaggiare. Ci sono i Littoriali a Firenze, in quei mesi i Giochi della Gioventù cambiano nome, il regime fascista decide di chiamarli Littoriale. Margherita Hack si presenta, si presenta nel salto in alto e nel salto in lungo e vince in entrambe le gare, diventa famosa, diventa quella, appunto, che ha un sogno che è quello di arrivare alle Olimpiadi. A 90 anni ho chiesto: qual è stato il tuo più grande rammarico nella vita? La sua risposta è stata proprio: non aver potuto partecipare alle Olimpiadi. Perché l'anno in cui avrebbe dovuto partecipare con la Nazionale Azzurra, le Olimpiadi furono cancellate a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Poi c'è Aldo. Vi ricordate Margherita, quella che giocava da sola perché nessuno voleva giocare con lei? È l'estate del 1933, Margherita ha 11 anni, è col pallone in mano, al parco; il babbo, come lo chiamava lei, seduto su una panchina sta leggendo il giornale. Il babbo, nel frattempo, era stato licenziato perché aveva deciso di non aderire al regime fascista, quindi perde il lavoro e diventa una sorta di baby-sitter per Margherita, tutto il tempo Margherita lo passa col babbo, perché la mamma invece lavora agli Uffizi, copia le opere d'arte cercando di venderle ai turisti, quindi è lei che porta a casa i soldi. E il babbo è l'unico che gioca a calcio con Margherita, perché gli altri bambini non vogliono giocare con Margherita. Margherita, quindi, è lì con il pallone in mano, a un certo punto sente: ehi, tu! Si volta e dietro ci sono tre ragazzini, uno si chiama Aldo, ha 13 anni, suo fratello che ne ha 11 e una ragazza coetanea. Aldo è un ragazzo un po' più alto di lei, simpatico, ironico. Ad Aldo non gliene frega niente di Margherita, ad Aldo interessa il pallone di Margherita, ovviamente. E le propone un patto: noi siamo in tre, ma non abbiamo il pallone; tu sei da sola, mai hai un pallone; mettiamoci insieme. E inizia l'estate più bella della vita di Margherita, così la ricordava lei. Per la prima volta si sente inclusa, per la prima volta ha degli amici, per la prima volta ha una banda, per la prima volta ha qualcuno con cui può giocare, per la prima volta va al parco con la speranza e il desiderio di trovare qualcuno e sa che troverà qualcuno con cui giocare. Un'estate bellissima, poi con Aldo nasce una strana complicità, fanno spesso a botte per scherzo, fanno a gara a chi si arrampica prima sugli alberi, è quasi sempre vince lei, fanno gare di velocità e quasi sempre vince lei, insomma una vera amicizia. Finisce l'estate, il papà di Aldo che faceva il Carabiniere viene trasferito a L'Aquila e questa storia finisce. Passano 10 anni, Margherita fa l'università, sta camminando a Porta Romana, che è un quartiere fiorentino, vicino alla zona universitaria, e incappa in un ragazzo. Si guardano, si scrutano e si riconoscono. Sei Aldo? Sì. Sei Margherita? Sì. E anche qui, come le storie più belle, è antipatia a prima vista. Da una parte c'è Margherita, fisicata, solare, tonica, ribelle, studia fisica, atea. Dall'altra parte c'è Aldo. Aldo studia lettere, Aldo è un conservatore, Aldo è cattolico, Aldo, poveretto, ha avuto la tubercolosi, quindi è anche un po' magrolino. Insomma, si guardano, non si piacciono, non hanno nulla da dirsi. Ciao, ciao, ciao, ciao e se ne vanno. Però la zona universitaria di Firenze poi è piccola, no? I luoghi sono sempre quelli, giocano un po' a nascondino, passa Aldo e Margherita si nasconde, Margherita sale sul tram, Aldo la vede ma si nasconde dietro a un libro. Però è impossibile non incrociarsi, è impossibile non vedersi, è impossibile non iniziare a dire: vabbè, tu cosa fai? Oggi io ho l'esame su Platone. Platone? Che schifo. E tu? No, io faccio astronomia. Ma che cos'è? Insomma, iniziano a parlarsi, iniziano a capirsi, iniziano a conoscersi, senza dirselo si fidanzano. Qui, però, metto un asterisco, perché gliel'ho chiesto a Margherita: Margherita, in che senso vi siete fidanzati senza dirvelo? E la sua risposta è stata: eh, abbiamo iniziato a pomiciare. E quindi, insomma, sono andati subito al sodo. Nasce un amore bellissimo, un amore lungo una vita, sono agli estremi queste due persone. Aldo, in verità, è un intellettuale, un letterato, è una persona molto colta, molto ironica e molto simpatica, molto divertente. Il ridere diventa il loro cemento, il ridere diventa la base di questo rapporto. Che è un rapporto strano, perché Aldo decide di dedicare, perché il suo non è un sacrificio, di dedicare la propria carriera a Margherita. Margherita studia, Margherita ricercatrice, Margherita che inizia a girare l'Europa, prima al mondo, dopo Margherita che diventa direttrice di un osservatorio, e con lei c'è sempre Aldo. Aldo che decide di stare a casa, Aldo che decide di supportarla, Aldo che decide di diventare complice e specchio intellettuale, Aldo che diventa anche la penna di Margherita, perché è Aldo a casa poi che scrive gli articoli di Margherita, Margherita porta i contenuti ma è lui che sa usare le parole e li rimette insieme. Ridono, giocano, scherzano, viaggiano in bicicletta. Col primo stipendio di Margherita comprano due motociclette, giocano a pallavolo insieme, tantissimo, con una sola regola che è essere in squadre opposte per potersi insultare liberamente. E Aldo diventa vittima delle prese in giro dei colleghi di Margherita, una donna scienziata, ricercatrice, che fa carriera, che arriva in ufficio in motocicletta, che c'ha il marito a casa. Marito che viene battezzato il moglio. Ma Aldo se ne frega, va avanti per la sua strada ed è stata una strada lunghissima, perché una strada di coppia lunga quasi 70 anni. Altro aspetto inclusivo di Margherita: non mi interessa com'è la mia testa, mi interessa cosa ho in testa, diceva scherzando, quando ricordava che dalla parrucchiera è andata una volta sola, pentendosene, in occasione del matrimonio. Se li è sempre tagliati da sola questi capelli, che erano diventati un marchio di fabbrica, un gesto di ribellione, un fatto identitario, se li tagliava da sola oppure se li tagliavano a vicenda, lei insieme ad Aldo, c'era questo siparietto, arrivavi a casa loro e se li stavano tagliando e imprecando a vicenda e con risultati spesso anche, insomma, giustamente criticabili. Però la testa di Margherita era diventata la sua cifra, la sua grammatica, la sua dimostrazione che si può essere inclusivi anche senza dover andare dal parrucchiere. Margherita diventa astronoma, lo diventa per caso. Prima, nel panel precedente si parlava delle scelte. Si iscrive a Lettere, i genitori sono di formazione umanistica, lei non ha le idee chiare, si ricorda che voleva fare la giornalista sportiva quindi, magari, boh... fatte le superiori dice: vabbè provo Lettere. Si iscrive a Lettere, va alla prima lezione, un'ora, un'ora su un testo anche bello, intitolato: I pesci rossi. Si addormenta, decide che quella non è la sua strada. Quindi fa una scelta oculata. Dov'è la mia migliore amica? A Fisica. Quindi anche lei si iscrive a Fisica. Disse: se mi annoio, almeno ho qualcuno con cui parlare. Non è molto interessata all'università, perché c'è ancora l'atletica che la tiene viva ed è il suo primo interesse. Fa il suo percorso universitario, il primo anno si annoia molto, perché il primo anno di Fisica c'è tanta teoria, nel secondo anno ci sono i laboratori, i laboratori invece iniziano a piacere. C'è anche un corso di Astronomia, che l'Astronomia non ha mai fatto parte della vita di Margherita, poi ci sono state alcune coincidenze, eh? Lei è nata in Via delle Cento Stelle, cioè la casa in cui è nata Margherita si chiamava Via delle Cento Stelle; hanno perso la casa quando papà ha perso il lavoro, a 5 anni si sono trasferiti in Via Ximenes, famoso frate astronomo; la nuova casa era a pochi passi da Arcetri, dov'è la sede dell'Osservatorio Astronomico di Firenze; ancora, a poca distanza dalla casa in cui era stato imprigionato Galileo Galilei; insomma, le stelle tornano per lei che non credeva a nulla, però queste coincidenze, insomma, l'hanno sempre fatta sorridere. E le stelle tornano anche nel momento della tesi, le propongo una tesi compilativa, la chiudono in una sorta di biblioteca e deve copiare numeri da libri polverosi. Passa una settimana, torna dal professore e gli dice: questa tesi, te la fai tu. E il professore dice: va bene, però mi devi proporre un'alternativa. Lei non hai idee, assolutamente. Si ricorda, però, di un giovane assistente, era quello del corso di Astronomia, prende la sua bicicletta, sale all'Osservatorio, incontra il giovane assistente, Girolamo Fracastoro, e al giovane assistente che aveva pochi anni più di lei, chiede: ma io vorrei fare una tesi, magari di Astronomia, è interessato? E lui accetta, con entusiasmo. Margherita scoprì poi, un mese dopo, che era la prima persona che chiedeva una tesi a questo professore e quindi, insomma, l'entusiasmo era dato da quello. Però è una tesi particolare, una tesi pratica. Deve passare le notti a studiare le cefeidi. Le cefeidi sono stelle anche queste, stelle inclusive, sono stelle difettose, sono stelle che hanno una variabilità della luminosità che non segue regole standard, no? Sono stelle anomale. E inizia a osservare, notte dopo notte, queste stella anomale. C'è il bombardamento e una città bombardata, paradossalmente, è la città ideale per chi deve fare osservazioni, perché è buio. Passa mesi e mesi in queste osservazioni notturne e lì si innamora delle stelle, lì capisce che è quello che vuole fare da grande. Si laurea, partecipa al primo concorso per diventare astronoma, il tema sono proprio le cefeidi, la commissione, quindi, ascolta la sua esposizione perfetta sulle cefeidi, ci sono nove candidati per otto posti, quindi la cosa sembra fatta, stringe la mano a tutti i commissari, sta per uscire dalla porta di esame e un commissario, c'è sempre un commissario quello che deve fare l'ultima domanda, le chiede: scusi, dottoressa, ma come mai noi vediamo sempre e solo la stessa faccia della luna? E Margherita Hack, sapeva benissimo che noi vediamo sempre e solo la stessa faccia della luna, ma non si era mai chiesta il perché e non sa dare la risposta. Arriva nona e viene bocciata. La carriera scientifica di Margherita Hack, quella che sarebbe stata una delle più grandi astrofisiche italiane, nasce così, nasce con una sconfitta, nasce con un errore, nasce anche con tante parolacce nuove, che deve avere inventato in quel momento! Il concorso successivo, ovviamente lo passa e lì inizia una storia bellissima, la storia di una donna, la storia di una scienziata in un mondo estremamente maschilista, che ce la fa. Ce la fa perché è coerente, ce la fa perché è brava, ce la fa perché mette il merito al centro, ce la fa perché ogni volta che cercano di ostacolarla, ogni volta che le dicono: questa cosa non si fa perché non si è mai fatta, lei trova la strada per farla. E la trova perché è testarda, la trova perché è caparbia, la trova perché mette la propria testa, no il proprio essere donna, al primo posto. Nel 1964 vince il concorso per la cattedra di Astronomia all'Università di Trieste. E in quegli anni, questo titolo ti dava in automatico anche la direzione dell'Osservatorio Astronomico e quindi, diventa la prima donna a dirigere un Osservatorio Astronomico in Italia. Quello di Trieste è un Osservatorio morto, c'è un barone che non vuole uscire, la leggenda narra che lei stessa sia andata poi nel suo ufficio, buttando fuori dalla finestra vecchi faldoni, la cassaforte con i soldi che lui non voleva utilizzare per la ricerca, eccetera, eccetera. Diventa direttrice dell'Osservatorio e la prima cosa che fa è questa: fa costruire un campo da pallavolo nel cortile dell'Osservatorio. Perché per lei, quel campo da pallavolo diventa proprio, utilizza ancora questa parola, l'emblema dell'inclusione, in ambito accademico e scientifico. Lei diventa una manager, partendo da questo campo da pallavolo. Ci sono vari ruoli, c'è la direttrice, c'è l'addetto al telescopio, c'è il tecnico, c'è il ricercatore, ognuno ha il proprio livello, ognuno ha il proprio posto in squadra, ma per un'ora al giorno, appunto, questa squadra gioca insieme. Libertà di essere sullo stesso campo, libertà di divertirci, libertà di essere competitivi, libertà anche di insultarci, libertà di conoscerci, libertà di essere paritari, in modo poi di essere paritari anche quando andiamo a lavorare insieme. E poi ci sono i buchi neri. Che li ho presi come esempio, perché in questi tanti anni di incontri con bambine e bambini, ragazze e ragazzi, adulti, insomma, abbiamo fatto centinaia di incontri insieme a Margherita Hack, e c'era sempre questa domanda: che cos'è un buco nero? E c'era sempre la risposta di Margherita, ed era sempre una risposta rispettosa, attenta, rigorosa. Perché per Margherita Hack, fare divulgazione scientifica è un atto democratico. Cioè, non ci può essere inclusione intellettuale se non passi dalla conoscenza. Per lei spiegare la scienza era fare democrazia e lo faceva a suo modo, lo faceva senza dirti, cioè lo faceva non dicendoti che la scienza era facile, perché ti guardava negli occhi e ti diceva: la scienza è difficile. E non la banalizzava, neppure la semplificava, ma la rendeva accessibile, che era il suo modo per fare divulgazione scientifica. Io ti presento una montagna da scalare, perché la scienza è una montagna da scalare; capire un buco nero è una montagna da scalare. Né costruisco la funivia, né ti dico che è una montagna piccola, né ti porto su io, però costruiamo insieme la strada per salire su quella montagna. E questo credo sia stato proprio, veramente, il suo atto più democratico, no? Il fare una divulgazione coerente con se stessa, una divulgazione libera e una divulgazione rispettosa. Margherita Hack è diventava ed è stata tante cose nella sua vita; è stata una grande manager, è stata una grande scienziata, è stata attrice, ha interpretato una bellissima astrologa in un cortometraggio insieme a Don Gallo. Si è messa in gioco in mille campi, ha scritto una canzone per Sanremo, bruttissima e per fortuna è anche, giustamente, stata esclusa litigando con Pippo Baudo. È andata in televisione, è andata in radio, ha fatto teatro, ha difeso gli ultimi, qualsiasi categoria fosse definibile ultimo. Dagli animali ai ricercatori, la questione di genere, cioè laddove c'era un diritto calpestato lei interveniva, ci metteva la faccia, ci metteva la testa, ci metteva la competenza. Ed è stata inclusiva anche nella morte. L'ultima volta che l'ho sentita, due sere prima che morisse, abbiamo di nuovo riso insieme. Le ho chiesto perché non voleva farsi operare, mi ha detto che non voleva soffrire lei, ma soprattutto non voleva far soffrire noi e preferiva morire sorridendo. Anche durante l'ultima telefonata che mi ha fatto parlava dei progetti futuri, diceva avrei idee e cose da fare per i prossimi dieci anni. Questa roba della morte è un po' una scocciatura, mi ha detto. E questa è Margherita Hack, appunto, che non aveva paura di morire. È stata l'ultima cosa che le ho chiesto, se avesse paura di morire e lì, sorridendo, mi ha detto: no, non ho paura di morire. E credo che non avesse paura di morire perché non ha mai avuto paura di vivere. Grazie.

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