Il principio è di per sé semplice, chi più inquina più paga e questa è una delle regole sulle quali si basa l'Europa per tutelare l'ambiente. Una politica che si traduce in una sorta di imposta, la cosiddetta carbon tax, finora limitata all'industria che emette più gas nocivi alla salute e che presto dovrebbe essere estesa alle auto e al riscaldamento delle case, con all'orizzonte, aumenti delle spese per famiglie e piccole imprese. Oggi una raffineria o un'acciaieria deve sborsare dei soldi se rilascia anidride carbonica oltre una certa quota, e chi produce meno emissioni può vendere i suoi permessi per inquinare a chi ne ha bisogno per mandare avanti la fabbrica. È previsto che questo sistema nel 2027 riguardi anche i carburanti per le quattro ruote, le caldaie di case e uffici, e i maggiori costi che affronterà chi vende benzina e gasolio potrebbero ricadere sulle tasche dei consumatori. Col pieno per la macchina più caro e la bolletta per i termosifoni che salirà, si stima di oltre il 40%, la carbon tax a maglie larghe rischia di diventare un salasso. Frutterebbe fino a 705 miliardi di euro tra il 2027 e il 2035, una montagna di denari. Quasi 87 miliardi di questi proventi servirà per migliorare l'efficienza energetica di edifici e trasporti, ma il resto? A Bruxelles si starebbe valutando l'idea di destinare una parte di queste entrate al bilancio dell'Unione in deficit di una trentina di miliardi all'anno, in modo da rimborsare il debito acceso col Recovery Fund, cioè i vari PNRR. e fare nuove spese, tra cui quella militare. Si tratta di ipotesi, si parla anche di un'imposta sui servizi digitali, ma ci sono stati che chiedono di rivedere o rinviare la carbon tax, anche per evitare che abbia pesanti ripercussioni sui più poveri. Il tema accende le polemiche anche dalle nostre parti, dove non mancano i contrari con in prima linea Lega Cinque Stelle e Italia Viva.