L'anno che sta per cominciare sarà di fondamentale importanza nella lotta ai cambiamenti climatici. Nel 2020 i governi di tutto il mondo dovranno presentare i loro nuovi piani climatici per il 2030. In termini tecnici si chiamano contributi determinati a livello nazionale, e sono gli obiettivi sul clima che ogni cinque anni vanno fissati per raggiungere l'obiettivo dell'Accordo di Parigi, ossia il mantenimento del riscaldamento globale sotto il grado e mezzo. Ma dal rapporto sulle emissioni dell'UNEP emerge un dato preoccupante: se davvero vogliamo limitare l'aumento della temperatura globale al parametro fissato a Parigi nel 2015, ed evitare le conseguenze più disastrose dei cambiamenti climatici, le emissioni globali di gas a effetto serra devono diminuire del 7,6% ogni anno dal 2020 al 2030, e i contributi determinati a livello nazionale devono essere aumentati di almeno cinque volte. Per restare entro i 2 gradi invece gli sforzi andrebbero triplicati, il che forse potrebbe essere più realizzabile, pur avendo comunque conseguenze. Allo stato attuale, aggiunge ancora il rapporto del programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente, ci si aspetta che le temperature aumentino fino a 3,4 – 3,9° C in questo secolo, con conseguenti impatti climatici di ampia portata e distruttivi. Uno dei fattori negativi è che sette dei paesi del G20 non hanno ancora messo in atto politiche per raggiungere gli attuali contributi determinati a livello nazionale e 15 non si sono impegnati con un calendario per raggiungere le zero emissioni entro il 2050. Ogni anno di ritardo oltre il 2020 comporta la necessità di tagli più rapidi, che diventano sempre più costosi, improbabili e poco pratici. Gli ingredienti chiave sono le energie rinnovabili e l'efficienza energetica, una ricetta nota, che però implica un grado politico di bilanciamento di questi impegni che il mondo deve raggiungere entro la COP di Glasgow il prossimo anno.