20 marzo 1994. È domenica quando a Mogadiscio vengono uccisi Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, inviati del Tg3. 30 anni da allora e ancora non è stata fatta luce su quanto accaduto. Nonostante l'impegno caparbio dei familiari della giornalista e dei colleghi, ai nomi degli esecutori e dei mandanti non si è mai arrivati. Ma molto è stato possibile comprendere sulle ragioni, sui motivi per cui qualcuno ha deciso la loro morte. Ilaria e Miran stavano lavorando sul malaffare italo-somalo, su traffici di diverso tipo, compreso quello di rifiuti tossici. La conferma da dossier e appunti ritrovati nella scrivania della reporter e mai sequestrati. Rifiuti tossici e armi tra Italia e Somalia, paese sfinito dalla guerra civile, prostrato dalla carestia dopo la caduta del regime di Siad Barre. Una vicenda che rimane a tutt'oggi segnata da depistaggi e da molte anomalie. A cominciare dal girato di Miran, sottratto e ricomparso oltre un mese dopo. Appunti, block notes e documenti spariti. Soccorsi mai arrivati sul luogo del delitto e l'autopsia sulla reporter non eseguita. Nemmeno la commissione parlamentare d'inchiesta presieduta dall'allora onorevole Carlo Taormina ha portato elementi nuovi, se non uno, poi smentito, quello del recupero dell'auto su cui viaggiavano i giornalisti che, appunto, non era quella giusta. 30 anni in cui c'è stato spazio anche per un capro espiatorio: Hashi Omar Hassan, rimasto in carcere 17 anni da innocente e alla cui colpevolezza non hanno mai creduto nemmeno i genitori di Ilaria. Hashi, ucciso due anni fa a Mogadiscio da una bomba nella sua auto. 30 anni dopo, nonostante gli ostacoli, tanto è emerso sull'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ma insistono le ombre e una verità giudiziaria ancora non c'è, mentre l'inchiesta della Procura di Roma rimane aperta.