Per 9 volte l'ha chiesto, per 9 volte gli è stato risposto no! La Corte di Cassazione ha ribadito la propria contrarietà alla concessione degli arresti domiciliari per Giovanni Brusca, confermando la posizione del tribunale di sorveglianza e nonostante il parere favorevole della Procura Nazionale Antimafia. Condannato per aver azionato il telecomando nella strage di Capaci, ha confessato un centinaio di omicidi. “Più di cento, meno di 200” sono le sue parole, anche quello di Giuseppe Di Matteo, rapito a 13 anni, strangolato e sciolto nell'acido due anni dopo, nel tentativo di far tacere suo padre Santino, pentito di mafia. Collaboratore di giustizia, poi, lo è diventato anche lui, l'ex capomafia di San Giuseppe Jato, detto “il porco”. La decisione della Cassazione è arrivata al termine di una giornata di polemiche e persino dopo non sono mancate divisioni perché il solo nome, Giovanni Brusca, porta con sé emozioni e reazioni difficili da gestire, soprattutto per i parenti delle sue vittime. Maria Falcone in testa che dice: “E' un personaggio ambiguo, dal 2004 ha già usufruito di 80 permessi. Inaccettabile la concessione di ulteriori benefici!” Ma poi c'è la legge, prova a spiegare il procuratore nazionale Federico Cafiero De Raho, che parla di parere favorevole, in linea con il Codice e la Costituzione, fondato sull'ormai prossima scadenza della pena, nel novembre 2021 Brusca sarà un uomo libero, e anche sul contributo fornito e sul ravvedimento evidenziato. E per Pietro Grasso, ex procuratore di Palermo, la posizione di Brusca è ben diversa da quelle di Riina e Provenzano, rimasti in carcere fino alla morte. Ma per i giudici della Suprema Corte avere scelto di collaborare non basta e il ravvedimento - scrivono - va oltre la condotta esteriore. E, allora, restano le domande: meritava i domiciliari Brusca? Dopo 23 anni di carcere può dirsi rieducato, come prevede la Costituzione? Si è davvero ravveduto e, soprattutto, se così fosse, l'opinione pubblica è pronta ad accettarlo?.