“Io non esisto. A me questa invisibilità mi ha fatto veramente un danno, ma un danno perché non so, mi sento anche stupida che non so se sto aspettando inutilmente”. Questa è la storia di una goccia nell'oceano. È la storia probabilmente di migliaia di malati di Covid-19 che, soprattutto in Lombardia, sfuggono a qualsiasi statistica. Nessun tampone, nessuna cura. Spesso nessuna assistenza. Invisibili. Persone che non rientrano nei numeri ufficiali, ma, stando a recenti indagini di alcuni medici di famiglia, condotte soprattutto a Milano e a Bergamo, e a molte proiezioni e ipotesi, sono la maggioranza, una maggioranza silenziosa in cerca di risposte. “La mia storia inizia il 9 marzo, quando mia mamma si ammala, perché inizia a salire la febbre. Si ammala di Covid e la portiamo al pronto soccorso, e lì confermano la diagnosi della polmonite bilaterale interstiziale e dell'essere positiva al Covid-19”. Silvia vive a Bresso, lavora nel campo della moda e pochi giorni dopo il ricovero di sua mamma si ammala, ma resta a casa. Lei non viene sottoposta a tampone. Che abbia contratto il Covid è altamente probabile, ma Silvia ha una figlia di 10 anni che ha qualche problema di salute e cosi la allontana mentre lei affronta la malattia da sola, e ne esce. “Ormai sono 37 giorni che io non la vedo, e devo dire che sono passate le famose due settimane, nelle quali io ho vissuto bene, sto bene, non ho particolari sintomi, ma dato che mi manca ancora l'olfatto io non riesco a capire da sola se riavvicinandomi faccio un danno o se faccio la cosa più giusta per lei. Io mi faccio il problema per la gente. Mai e poi mai vorrei sapere un giorno che qualcuno si è ammalato a causa mia. Impazzirei. E quindi mi si deve riconoscere il diritto almeno di poter fare la brava persona. Già che non mi hai curato, riconoscimi almeno la possibilità di dire: signora, vada tranquilla, lei è negativa. Basta, l'olfatto tornerà”. Superata la malattia, Silvia ha paura perché anche l'esperienza della madre, risultata ancora positiva al Covid a distanza di 16 giorni dalla scomparsa dei sintomi, nessuno però, se non con un tampone, che non c'è, è in grado di dirle se è ancora contagiosa. “Cosa faccio? Abbraccio la mia bambina con le sue patologie e la metto a rischio? O sto ancora dieci giorni? Ma dieci giorni basteranno? Perché io devo decidere quando è il giusto momento di re-integrarmi con la società o perlomeno con la mia famiglia? Ma perché?” Domande che al momento restano senza risposta.