Coronavirus, Sky tg24 nella fabbrica di caschi a ossigeno

12 mar 2020
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“Questo è il casco da CPAP. Si utilizza in questo momento su tutti i pazienti che arrivano in pronto soccorso con la difficoltà respiratoria. Il dispositivo va in pressione, aiuta a gonfiare i polmoni e quindi aiuta la respirazione”. Nel distretto biomedicale di Mirandola, nella bassa modenese, questa è una delle tre aziende italiane, uniche al mondo, in cui si producono caschi speciali a ossigeno. “Ha tre vantaggi: aiuta a respirare; gli dà dell'aria sterile; non inquina l'ambiente esterno, quindi appena arrivi al pronto soccorso, indipendentemente che sia positivo o negativo, se viene sigillato lì dentro siamo tranquilli e lui subito ha un immediato vantaggio respiratorio”. Dispositivi che aiutano gli ospedali a non intasare i reparti specializzati. “Cerca di ridurre il numero di pazienti che, peggiorando, necessitano obbligatoriamente del ricovero in rianimazione. Adesso che arriva l'ossigeno noi andiamo in chiusura, questa è una cerniera a tenuta pneumatica, che ci consente di accedere al paziente in pochi secondi. Adesso siamo in chiusura. Il sistema va in pressione, questa valvola si regola, ho una regolazione di massima che poi andrò a controllare con il manometro, applico la valvola, che è quella che mi consente di determinare il valore di pressione che il medico stabilisce che il paziente deve ricevere e con questo manometro possiamo verificare quanto stiamo somministrando”. Quante volte può essere utilizzato questo casco? “Il casco è mono paziente, quindi un casco un paziente. Può essere utilizzato per tutto il tempo necessario alla terapia”. Abbiamo un numero di quanti riuscite a distribuirne ogni giorno? “Abbiamo triplicato la produzione. In questo momento siamo intorno ai 500 al giorno distribuiti nelle emergenze. La produzione per la quale si era organizzati non è in questo momento in grado di soddisfare quelle che sono le richieste”. Cosa si può fare? “Il mondo dopo l'11 settembre non è più stato lo stesso. Diciamo che l'Italia fosse dopo il 21 febbraio, dopo il paziente uno, non sarà più la stessa. Di fronte a una guerra di questo tipo non siamo abbastanza attrezzati. Preparati sì, attrezzati no, quindi bisognerà rivedere un po' gli investimenti e dare un po' più di forza alla sanità, perché poi della salute ne abbiamo bisogno tutti”.

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