Altri 45 giorni di custodia cautelare. Questo hanno disposto i giudici del Cairo per Patrick Zaki, in carcere dal 7 febbraio, dopo il fermo all'aeroporto della capitale egiziana dove si trovava per una breve vacanza in famiglia. Una decisione presa in giornata dopo che l'attivista e ricercatore egiziano, iscritto all'università di Bologna, è comparso ieri per la prima volta dall'arresto davanti alla Corte d'assise. La presenza in aula del 27enne, in carcere da 5 mesi, era stata interpretata positivamente dai suoi legali, ma oggi è arrivata la doccia fredda. Le accuse che gli vengono rivolte, incitamento alla protesta e istigazione al terrorismo, legate ad alcune pubblicazioni su un account Facebook che la sua difesa considera falso, potrebbero costargli fino a 25 anni di carcere. Il ricercatore è detenuto nella prigione di Tora, nei sobborghi del Cairo, luogo di privazioni e torture. Il carcere, infatti, ha una famigerata sezione ad alta sicurezza, conosciuta con il nome di “Scorpione”, in cui sono rinchiusi - in pochi sanno in quali condizioni - migliaia di prigionieri politici. Da quando nel 2013 è salito al potere in Egitto l'ex generale al Sisi, le persone arrestate su basi politiche sarebbero più di 60 mila, secondo i dati delle organizzazioni per i diritti umani locali e internazionali. Una vicenda, la sua, quella di Zaki, che dà un'ulteriore dimostrazione di come le libertà politiche e personali, di stampa e di espressione con il passare degli anni e il rafforzarsi del potere del Presidente si siano molto ristrette.