Con il Piano Triton l’Italia diventa l’unico porto in tutta l’Unione europea. Il protocollo, messo a punto tra settembre e ottobre del 2014, assegna infatti al nostro Paese lo sbarco dei migranti soccorsi in mare. L’operazione, con un budget di quasi 3 milioni di euro al mese, prende il via il primo novembre di tre anni fa con il mandato di pattugliare le frontiere dell’Unione Europea e salvare le vite umane in pericolo nel Mediterraneo. Diciassette i Paesi direttamente coinvolti, chi con personale specializzato, chi con mezzi tecnici, navi d’altura, motovedette, imbarcazioni, aerei, elicotteri, chi con entrambi. I porti sono tutti italiani. Così come italiano è il comando dell’operazione. È da Roma infatti che vengono coordinate le attività, dall’Italia anche le autorizzazioni a sbarcare i migranti intercettati e salvati. Tutto funziona così: in servizio ci sono sempre due aerei di sorveglianza, tre navi e sette squadre di personale. Effettuano attività di intelligence, provvedendo ai controlli e ai processi di identificazione. Al fine di limitare il dramma dei profughi, nel maggio del 2015 il raggio di attività della missione viene ampliato fino a 138 miglia nautiche a sud della Sicilia. L’Italia ora punta ad una revisione del piano operativo. Entro l’anno il Governo vorrebbe modificare il programma creando nuove zone SAR (search and rescue) affidandole alla responsabilità diretta di Francia, Spagna e degli altri partner europei, affinché i migranti possano essere sbarcati anche in altri porti dell’Unione Europea.