Antipasto, timballo di pasta, pollo con salsiccia e patate, frutta e dolci: è il menù della domenica da trascorrere tutti insieme per mangiare e giocare al caldo di una grande tavola imbandita e al calore umano dei volontari che servono il pranzo. “Non è la tombola che devo vincere. Ho vinto una battaglia con la vita. Anche se sono fuori, però io in questa comunità ho trovato una famiglia. Io dormo fuori, però, come vedete, sono ancora forte dentro di me”. Ciro è uno dei 250 “senza fissa dimora” presenti al pranzo organizzato a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio e dal Dopolavoro dell’Acea. È divorziato da tempo ed è originario di Napoli. Ha una qualifica di cameriere e aiuto chef, ma non lavora da molti anni. Dorme all’aperto, ma ci tiene a dire che lui sta bene e che non vuole andare nei dormitori, aperti per tutto il giorno. “L’emergenza freddo passa – ci spiega – la sua condizione di clochard resta”. Dopo il pranzo della domenica è il momento della tombola e della distribuzione dei dolci: si mangia pandoro e torrone. Non chiedono nulla, non vogliono nulla, i senza tetto, che in queste giornate di freddo polare non cambiano le loro abitudini. Molti continuano a dormire all’aperto, altri in container in periferia, altri ancora nei dormitori. In comune hanno tutti la voglia di una famiglia e delle feste che si trascorrono in famiglia, perché qualcuno di loro in passato era sposato e aveva anche dei figli. Ma poi la vita li ha portati in una direzione diversa da quella sperata, e ci vuole poco per perdere tutto. E il gelo della solitudine è anche peggiore delle temperature sotto lo zero.