"Un patteggiamento non vuol dire essere colpevoli". Così le prime parole dell'ex governatore della Liguria Giovanni Toti, una svolta clamorosa nell'inchiesta per corruzione elettorale che ha terremotato la regione il 7 maggio scorso, l'accordo con la procura di patteggiare una pena di due anni e un mese riformulata con 1500 ore di lavori di pubblica utilità e la confisca e di 84100 euro, un colpo di scena per evitare il processo che sarebbe dovuto iniziare il 5 novembre, cadono così reati i più gravi di corruzione e di finanziamento illecito. "Da una parte l'amarezza di non aver visto riconosciute tutte le nostre ragioni, dall'altra il sollievo di averne viste riconosciute un pezzo importante, il pezzo importante è che nessuno all'atto illecito è stato compiuto, tutte le pratiche che sono state fatte sono legittime, tutti i soldi che sono stati donati ai comitati politici sono stati usati solo per la politica e non per l'arricchimento personale. Rimane a carico dell'ex governatore il reato di vendita della funzione compiuto in presenza di atti legittimi e non contrari ai doveri di ufficio. "Quando si suppone che i rapporti con la persona che era interessata e la controparte siano stati diciamo troppo amicali, la chiave di volta poi è venuta quando la procura ha accettato di non applicare una pena detentiva, ma di sanzionare questi reati come una sanzione alternativa, quella dei lavori socialmente utili, per cui alla fine questo processo si conclude con la condanna a fare 1500 ore di volontariato". L'ultima parola sulla vicenda spetta al Gip, patteggia per evitare il carcere anche l'ex presidente del porto di Genova, Paolo Emilio Signorini, nessun riflesso sulla campagna elettorale in corso per le regionali con la candidatura, voluta dalla premier Meloni, del sindaco Bucci. "Dimostra", dice Toti, "che tutti gli atti che sono stati fatti in questa regione sono legittimi come i finanziamenti, mi prendo un piccolo pezzo di responsabilità".