“Esiste un diritto al suicidio come forma estrema di autodeterminazione, che in alcuni casi prevale anche sullo stesso diritto alla vita, perché la tutela della dignità della persona ha la precedenza”. Lo scrivono i magistrati milanesi nella loro richiesta di archiviazione dell’indagine su Marco Cappato, esponente dei Radicali indagato per aiuto al suicidio, ed è un’interpretazione destinata a far discutere. L’accusa nei confronti di Cappato era di aver accompagnato Fabiano Antoniani, noto come Dj Fabo, alla clinica Dignitas, vicino a Zurigo, dove il 27 febbraio scorso aveva messo in atto la sua volontà di togliersi la vita con la procedura del suicidio assistito. Un’accusa che, però, per i PM Tiziana Siciliano e Sara Arduini di fatto non sussiste, e il perché i magistrati milanesi lo spiegano indicando in qualche modo la strada a un legislatore che in Italia finora è stato assente. “Marco Cappato ha solo aiutato una persona malata non terminale, ma in condizioni drammatiche – scrivono –, con una tetraplegia irreversibile, a esercitare il diritto individuale”, il diritto alla dignità e, quindi, all’autodeterminazione che in questo caso per i PM prevale sul diritto alla vita. In questo quadro, per la Procura di Milano il principio della dignità umana impone l’attribuzione a Fabiano Antoniani e, in conseguenza, a tutti gli individui che si trovano nella medesima condizione di un vero e proprio diritto al suicidio, attuato in via indiretta mediante la rinunzia alla terapia, ma anche in via diretta mediante, cioè, l’assunzione di una terapia finalizzata allo scopo del suicidio. “Secondo questa interpretazione, dunque, le pratiche di suicidio assistito non costituiscono una violazione del diritto alla vita”, scrivono ancora i magistrati, che concludono sottolineando come, qualora questa interpretazione della norma dovesse essere rigettata, allora necessariamente dovrebbe essere sollevata una questione di legittimità costituzionale della stessa.