Totò Riina, durante le pause del processo Stato-mafia e il colloquio con gli agenti del GOM che lo osservano a vista, ha dimostrato di essere assolutamente lucido e capace di intendere e volere. Lo ha descritto in questo modo in aula il PM Nino Di Matteo nel processo sulla presunta trattativa tra Stato e mafia in cui Riina è imputato. Lo ha fatto dopo le polemiche scoppiate nei giorni scorsi quando la Cassazione ha sostenuto, inviando le carte al tribunale del riesame di Bologna, che il boss corleonese potrebbe, in teoria, finire di scontare la sua pena fuori dal carcere per avere una morte dignitosa. Il capo dei capi, infatti, è affetto da diverse patologie gravi che, per il difensore, non sarebbero compatibili con il regime carcerario. Ovviamente le parole della Cassazione hanno scatenato accesissime polemiche, ma la scarcerazione di Totò Riina è praticamente impossibile così come fu per Bernardo Provenzano. Di Matteo ha sottolineato come il boss, parlando con gli agenti, sia stato lucido e presente a se stesso e per questo ha chiesto che l’agente di polizia penitenziaria che ha raccolto il suo sfogo venga sentito al processo. Toto Riina anche oggi ha voluto presenziare all’udienza, presentandosi nell’auletta del carcere di massima sicurezza accompagnato in barella dagli infermieri. Dopo la deposizione dell’agente di custodia, l’accusa ha chiesto di acquisire anche le trascrizioni delle conversazioni che il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, ha fatto per un anno durante l’ora di socialità con un altro detenuto. Dialoghi importantissimi in cui parla delle stragi del ‘93 sottolineando che non le volle Cosa Nostra o, almeno, non le volle solo la mafia. Graviano è un fiume in piena: parla del fallito colpo di Stato nell’estate del ‘93 di Dell’Utri e Berlusconi. Sentito dai PM a fine marzo, ha detto di non essere in grado di rispondere ma che, una volta ripresosi, chiamerà lui il PM per parlare. Di cosa, è ancora un mistero.