Si era ritirato da tempo in un paesino della Calabria. Aveva 71 anni Giovanni Aiello, l’ex poliziotto della squadra mobile di Palermo, conosciuto come “faccia da mostro” per via di quelle profonde cicatrici al volto, per decenni al centro di controversie vicende giudiziarie, indagato da quattro Procure: Palermo, Caltanissetta, Catania e Reggio Calabria. Di quell’uomo dal viso deturpato aveva parlato per primo il boss confidente Luigi Ilardo al colonnello Michele Riccio a metà degli anni Novanta, aveva detto: “È coinvolto nei delitti più strani di Palermo”. Altri collaboratori di giustizia lo avevano accusato di essere un sicario al servizio delle cosche. Per i PM calabresi aveva avuto un ruolo in una serie di episodi rimasti a lungo misteriosi in quella tela intessuta di mafia, massoneria, eversione nera e servizi deviati. Il nome di Giovanni Aiello venne più volte associato alle stragi di via D’Amelio e di Capaci, agli omicidi del vicequestore Ninni Cassarà e del poliziotto Nino Agostino, ucciso in circostanze mai chiarite insieme alla moglie incinta. Il padre, Vincenzo Agostino, che per protesta da allora non si è più tagliato la lunga e bianca barba, in tribunale aveva dichiarato di avere riconosciuto in Aiello l’uomo che pochi giorni prima dell’agguato era andato a trovare il figlio. Ma non era bastata come prova processuale. Aiello continuava ad essere scagionato. Ha negato fino all’ultimo di essere un killer. Le prove a suo carico erano sempre più rilevanti, ribadisce ora Agostino che chiede che venga disposta l’autopsia per verificare – dice – se la sua sia stata una morte accidentale o una uccisione di Stato, per togliere di mezzo un soggetto diventato fastidioso per tanti apparati.