"Era un'udienza necessaria, perché il corpo di Giulio parla e parla anche nel bene. Perché Giulio non aveva nessun tipo di sostanza tossica nel corpo, non ha bevuto alcol. È stata dura ma, appunto, era importante ed era inevitabile." In aula né giornalisti né telecamere ad ascoltare la parte più delicata della testimonianza di Vittorio Fineschi, medico legale che nel 2016 ha guidato l'equipe che ha eseguito l'autopsia sia sul corpo di Giulio Regeni. Un corpo martoriato, che racconta delle torture, dell'agonia, delle botte, dei tagli, delle fratture, delle ustioni. Di accanimento e di ferocia. E sono segni tipici di un metodo di tortura attribuibile ad una specifica area geografica, l'Egitto appunto. "Sul corpo di Giulio Regeni sono stati ritrovati i segni di tortura descritti nella letteratura scientifica che ci ha appena illustrato?" "Devo rispondere, ahimè, quasi tutte quelle che ho descritto di lesività. Le abbiamo riscontrate, le abbiamo descritte, le abbiamo fotografate. Sono del tutto sovrapponibili." Un supplizio durato giorni quello di Giulio Regeni, sparito al Cairo Il 25 gennaio e ritrovato senza vita il 3 febbraio lungo la strada che collega la capitale egiziana ad Alessandria. Ed è il tossicologo forense Marcello Chiarotti a collocare la morte tra il 31 gennaio e il 2 febbraio. Udienza che i familiari hanno scelto di non ascoltare. Ad accoglierli, all'arrivo in tribunale, studenti di un liceo della capitale, il Tito Lucrezio Caro, che hanno letto estratti dal libro scritto proprio dai genitori del ricercatore. "Noi li ringraziamo immensamente e hanno anche scelto dei pezzi veramente non a caso, col cuore." "Perché si riconoscono anche nella figura di Giulio.".