"Giulio raccontò di essere stato fotografato da una persona presente nella sala, venne a raccontarmi questa cosa abbastanza preoccupato e io gli dissi comunque di riferirlo anche agli organizzatori per allertare, comunque, della presenza di quella che noi ritenevamo fosse un'informatrice di un qualche apparato di sicurezza egiziano". È un episodio centrale nella ricostruzione dei giorni immediatamente precedenti il rapimento di Giulio Regeni, a raccontare un amico del ricercatore, anche lui al Cairo, anche lui dottorando che oggi ha scelto di non essere ripreso, segno delle paure e dei timori di quanti, con questa storia in qualche modo hanno avuto a che fare. Parla della loro vita al Cairo, tra lavoro e chiacchiere tra amici, descrive Giulio: socievole, studioso, una persona sobria, cauta e racconta del clima in quel 25 gennaio 2016. "Il regime aveva dato dei segnali un po' di irrequietezza, quindi era stata inasprita un po' la maglia dei controlli anche in strada. Quindi nello specifico il 25 gennaio un po' durante la giornata la cautela era stata quella di non avventurarsi troppo in giro". Giulio era finito nel mirino delle forze di sicurezza del regime, segnalato dal leader di sindacalisti indipendenti Said Abdallah che incontrava, perché proprio sugli ambulanti sulla loro vita aveva imperniato la sua tesi di dottorato. E Abdallah farà più, sarà proprio lui infatti a indossare una videocamera e registrare la conversazione con Giulio che poi consegnerà ai servizi di sicurezza Regeni non ha motivo di immaginare di essere a rischio, quando quella sera esce deve raggiungere casa di un professore per un compleanno, non arriverà mai.