Via Poma, un mistero lungo 30 anni

07 ago 2020
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Simonetta ha vent'anni. Simonetta è una ragazza semplice, con sogni e desideri semplici. Fa caldo a Roma, è agosto e la città è semivuota. L'Italia è reduce delle notti magiche di un mondiale che non è finito come si sperava e allora ci si consola in riva al mare o comunque in vacanza, dove sta per andare anche Simonetta con le amiche. Il 7 agosto del 1990, Simonetta Cesaroni è al lavoro presso la sede dell'Associazione Italiana Alberghi della Gioventù che si trova qui, al numero 2 di Via Carlo Poma, Quartiere Prati, quando oltrepassa il cancello, è dentro, nella scala B, Simonetta forse pensa già alla vacanza, ma sta per accadere un crimine che farà entrare nelle case degli italiani mille risvolti di una vicenda cruda, infinita, senza giustizia. Simonetta muore trafitta da 29 coltellate, l'Italia fa i conti con un delitto che anni dopo troverà definizione in una parola ormai troppo presente nelle pagine di cronaca: il femminicidio. Non è il primo, non sarà l'ultimo, ma il delitto di Via Poma assume subito enorme, a volte smisurata, rilevanza mediatica, perché Simonetta è una ragazza come tante, una fidanzata come tante, una figlia come tante, perché Simonetta siamo noi. Ecco perché 30 anni dopo il ricordo non basta. È un omicidio senza movente. un giallo senza il volto del killer, un mistero infinito, chiuso a chiave al terzo piano della scala B di via Carlo Poma. Simonetta amava andare al mare. Dal pomeriggio del 7 agosto 1990 il suo volto, la sua figura ricorreranno ossessivamente sui quotidiani, Magazine, negli studi TV e le foto saranno sempre le stesse: 3 istantanee scattate al mare, come se quel desiderio semplice si fosse cristallizzato. Il delitto di Via Poma è un giallo infinito perché non manca nulla in una sceneggiatura che sembra scritta da una mente sadica. Le piste sbagliate, il primo mostra si chiama Pietrino Vanacore, il portiere della scala B, arrestato 3 giorni dopo il delitto, scarcerato quasi un mese dopo, sospettato prima di essere il killer e poi di favoreggiamento, perché nel pomeriggio del 7 agosto 1990, nella scala B sono solo in tre: l'anziano architetto Valle, Simonetta e il portiere. Chiunque sia entrato o uscito non può essere sfuggito all'occhio di Vanacore, non basta, non arriverà nemmeno a processo, posizione archiviata. Il secondo mostro è l'adolescente Federico Valle, nipote dell'architetto che abita all'ultimo piano, ma la tesi accusatoria è fragile e figlia dell'ostinazione del PM, prosciolto anche lui. Nel copione non manca nulla, neanche la pista dei servizi segreti e il coinvolgimento dell'immanganibie Banda della Magliana, perché Simonetta aveva visto per sbaglio documenti che non doveva vedere, tesi insconsistente. Il terzo mostro si chiama Raniero Busco, è il fidanzato di Simonetta ed entra nel mirino degli inquirenti solo diversi anni dopo, quando con le nuove tecniche dei rilievi del Dna l'accusa lo porta alla sbarra e lo fa condannare a 24 anni. In appello il castello si smonta assolto per non aver commesso il fatto, Raniero Busco esce dalla vicenda e chiede di essere dimenticato. Un altro protagonista, il primo mostro ne è uscito pochi giorni prima di essere chiamato a testimoniare proprio nel processo a carico di Busco, Pietrino Vanacore si suicida in mare nel marzo del 2010. La verità è nelle carte, basta leggerle, lo ha ripetuto per anni Claudio Cesaroni, il papà di Simonetta, che si è battuto fino a spegnersi, colpito da un male incurabile e da un dolore impossibile da sopportare, anche lui se ne è andato in agosto, nel 2005. La verità resta qui resta qui, chiusa a chiave nella scala B del Palazzo di Via Carlo Poma 2, Quartiere Prati. Da questo Palazzo è uscito l'assassino nel pomeriggio di trent'anni fa. Roma è vuota, non è difficile confondersi nel nulla, sparire e restare nell'ombra ancora oggi. Questa storia resta senza finale. Simonetta ha ancora 20 anni.

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